Un disco malriuscito e a tratti persino pesante.
Nonostante svariati ascolti, le perplessità relative al disco di Marcello Capozzi sono molte. Ritengo infatti "Sciopero" un album che fondamentalmente la tira per le lunghe, evitando - quasi per partito preso - alcune possibili soluzioni di sintesi. Succede ad esempio che all'interno di singole tracce spesso si abusi di intermezzi strumentali a tal punto da infastidirne l'ascolto. A ciò aggiungete lo stile vocale dell'autore, quasi sempre sintonizzato tra il "lamentoso" e lo "svogliato", e otterrete a grandi linee il quadro generale. All'appello mancano però i testi, l'altro elemento che appesantisce quest'opera in maniera determinante.
Non sappiamo cosa voglia raccontare il cantautore napoletano, ma se il suo tentativo è quello di denunciare situazioni paradossali (come quando in "Canto campano" prova a raccontare di quella specifica realtà), il consiglio è di lavorare sulle parole e sulle immagini che le liriche dovrebbero evocare. Perché se è comprensibile il passaggio in cui segnala che "sotto il peso di uno stato che interviene con deroghe ed eccezioni / anch’io non so più ribattere io non so più pretendere" poi fallisce ogni tentativo se nei versi a seguire declama "mentre flussi in etere toccano la luce si stravolgono i feti / fiotti immateriali calcano i corpi / storie che ora so comprendere ma non so difendere / più che stare a lutto e vestirmi di nero". Viene quindi da pensare che Marcello si perda in esercizi di stile, tutto intento nel ricercare un'immagine sempre più astrusa di quella che la precede. Insomma, l'intento nobile di denuncia finisce per disperdersi nel mare infinito della retorica - meccanismo che caratterizza ogni singolo episodio dell'opera, qualsiasi sia la tematica sviluppata.
L'apice viene però raggiunto a metà del lavoro, quando attacca "Il testimone", brano appesantito da un arrangiamento di fiati e archi (che ha tutta l'aria di riempitivo) e presumibilmente ispirato ad una qualche vicenda autobiografica. Ma, come sopra, vi sfido a capirne il senso compiuto partendo dai versi iniziali: "In pieno tracollo / Immoto sul divano / In stile pietrificato / Guarda il display / Vi legge quel nome / Quel nome è una cosa / La cosa è amore".
Non tutto è da buttare, complessivamente: rimangono apprezzabili, quantomeno a livello di arrangiamenti, le soluzioni sonore che animano "1984" (di chiara matrice Radiohead del periodo di "In rainbows"), le atmosfere scure di "Ettari di eternit" e la chiusura in slow-motion di "Scaldare il freddo". Troppo poco, però, affinché il giudizio finale possa andare oltre una stiracchiatissima sufficienza.
Quando da rivedere è l'intero impianto concettuale dell'opera, non ci dilunghiamo nell'esposizione: quanto già evidenziato in questa sede basta e avanza per prenderne nota.
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La recensione Sciopero di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-08-09 00:00:00
COMMENTI (5)
Buone cose a tutti noi allora :-)
Ma certo @motherboard, assolutamente d'accordo con te quando scrivi "nel rispetto delle opinioni e dei gusti altrui". La mia non può che essere critica "parziale" nel tentativo di raccontare questo - come gli altri dischi - in base alle mie esperienze e ai miei trascorsi. Detto ciò, auguro cose bellissime a Marcello Capozzi - e non avrei motivo per pensare il contrario.
"Sarà" nella fattispecie può avere un duplice significato, o se vogliamo una sfumatura semantiche che li sfiora entrambi: Significato 1- Il disco di Marcello Capozzi, a mio gusto personale, è un opera valida per la musica e per la "poesia". Significato 2 - "Sarà", come futuro semplice del verbo essere (e qui il secondo significato a sua volta si biforca dapprima in senso ironico, ovvero sarà che è vero quello che il giornalista "in tal caso lei" scrive; in secondo luogo "sarà" nel senso che dovrà necessariamente essere riconosciuto come quello che è: un bel disco. Ovviamente tutto ciò nel rispetto delle opinioni e dei gusti altrui :-) .
@motherboard sii più esplicativo...
sarà..