Nella segno della tradizione: una bella sezione fiati per farvi ballare saltellando sulla retorica
Rivorrei indietro i miei vent’anni. Lo stadio, le birre del discount, i Dr. Martens rossi, le fred perry, le camicie della Ben Sherman, un orientamento di sinistra generico senza farsi troppe domande, i capelli sempre rasati, la musica di sottofondo. Ridatemeli. Forse. Perché ora, cosa ne è rimasto? Un armadio pieno di polo, 4 paia di boots ed il taglio di capelli che, vista l’età, è già un buon portarsi avanti. In curva non mi si vede più da un po’ e quanto alla politica, come direbbe Max Collini “il partito risulta non pervenuto”. In compenso sono arrivate le domande, forse in un riflusso dell’era dei perché.
Questo primo lavoro dei Maleducazione alcolica, di per sé, non è nemmeno male. Il sound si colloca in continuo dondolarsi tra terra caraibica e anni duemila, passando dal rocksteady, allo ska e spingendosi fino a derivati e ska-core. C’è qualche ingenuità nell’arrangiamento e qualche passaggio “col fiato corto” prima dei ritornelli ma una buonissima conoscenza del lessico del genere e una sezione fiati veramente ben oliata fan passare in secondo piano qualche piccola imprecisione. Ci sono anche ospiti illustri della scena, con i quali hanno condiviso i palchi, come Rude Hi-Fi, Sandrino e Sandokan della Banda Bassotti, Martina Cori ed Enrico Capuano. Forse sono io ad esser vecchio e a non saper cogliere la frizzante verve. Sono diventato pesante e le ginocchia si oppongono al ballo su suoni già sentiti e testi di una retorica trita e ritrita che comunque ha sempre caratterizzato il genere. Sono vecchio perché ho voglia di polemizzare. E quindi, per fare un esempio, un testo come quello di “Corrispettivi” mi sembra quantomeno ingenuo e scivoloso nelle sue argomentazioni. O forse polemico lo sono stato sempre. Ma, all’improvviso, il piede comincia a muoversi, proprio sull’ultima traccia e non per voglia di scappare. Il racconto di una “Tuscia ska” in un viaggio immaginario che si dipana nella provincia di Viterbo e dintorni alla fine mi coinvolge perché pur nella sua ingenuità racconta qualcosa. Non è la poetica delle piccole cose, ma almeno descrive e permette di conoscere qualcosa di più rispetto a prima dell’ascolto.
Ed è questo che mi sarebbe piaciuto trovare in tutto il disco, pur con parole semplici di poco più che vent’enni (ma visti alcuni precedenti, e guardando fuori confine non è certo più un alibi) e non con la retorica che viene dal passato. Se la musica infatti pesca bene da quegli anni e dal dizionario riaggiornato scritto dai gruppi a cui han fatto da spalla, qualcosa in più da dire potrebbero averlo sul fronte dei testi. Io intanto lucido gli anfibi.
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La recensione PECCATI E SOGNI di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-06-14 00:00:00
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