C+C=Maxigross
Ruvain 2013 - Psichedelia, Folk

Ruvain

I monti veneti rimandano echi antichi, folk e psichedelici.

Sono molto contenta di recensire questo disco, per due motivi: il primo è che finalmente posso comunicare a un vasto pubblico il mio disappunto per la scelta di un nome veramente, veramente pessimo. No, davvero, C+C=Maxigross, quanto è cacofonico? Ragazzi, ripensateci.

Il secondo motivo è che questo disco è proprio bello. Bello in modo accogliente, come la casa della nonna. Che non significa vecchio e superato, ma caldo e con dentro cose vissute che raccontano storie di tempi che furono, insieme a roba più nuova, regali di figli e nipoti, oggetti che fanno allegro e familiare disordine. “Ruvain” è così, ascoltarlo ti dà quel senso di comunità, di semplicità, di famiglia. Si potrebbe sospettare che ci sia un inseguimento della moda del sound rurale che ultimamente impazza in ogni dove. Sarebbe un sospetto legittimo eppure, se è vero che verrebbe facile bollarli con l'etichetta di nostrani Mumford & Sons/The Lumineers/Of Monsters and Men, la marchiatura sarebbe sicuramente conseguente a un ascolto superficiale. Perché sì, di America folk ce n'è, e anche tanta, ma c'è allo stesso tempo un genuino attaccamento a delle radici tutte italiane, di un'Italia antica e che però resiste, fuori dalle città, dai quartieri In e dalle tendenze effimere, resiste nei paesi arroccati sulle montagne dove le generazioni si incontrano al bar e cantano le canzoni popolari.

Un'Italia che si sente in “L'attesa di Maicol”, con la sua andatura a marcetta e il testo naïf (“con le mani tamburella sognando la sua bella”), nel coro boscaiolo di “A freak Can”, nella nostalgia suggerita da “Wait Me to Arrive”, che sembra raccontare di migrazioni e ritorni attesi a lungo. Un sentire paesano reso sfaccettato e non scontato da lampi psichedelici, ricchezza di voci e strumenti, melodie brillanti e romantiche. Lo ridico senza fronzoli, alla montanara: proprio bello.

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