I cantautorato italiano è in assoluto il genere musicale più inflazionato, nonché quello in cui è più facile improvvisarsi artisti. E purtroppo questo disco ne è l'esempio perfetto.
"Tesi di Redenzione" si apre con "Amantide", una canzone che in un attimo ti immagini già ad ascoltarla su una terrazza a Santorini, intonando strofe come "hai già finito la tua lista speciale di cose da fare, ma rischiare resta da cancellare". Gli arrangiamenti sono belli, i testi semplici e gradevoli, peccato solo per quel cantato così trascurato, penso.
Nelle tracce successive continua l'uso massiccio del mandolino e della chitarra acustica, e quell'aria mediterranea alla Eugenio Bennato si fa sempre più densa; fa subito gonne lunghe, balli a piedi nudi e peperoncino esotico. Io adoro questi strumenti, soprattutto a Milano in estate. Mi fanno sentire subito a sud, coi piedi nell'acqua salata, ma nell'ascolto c'è qualcosa che mi disturba terribilmente. Sarà forse che dal "cantato trascurato", siamo passati alla "tortura del cantante". Probabilmente c'è qualcuno che lo sta obbligando al microfono, minacciandolo con un fucile a canne mozze. Altrimenti non capisco il motivo di tanta svogliatezza, che puzza di finto disinteresse.
E poi. Poi non è mica una mossa vincente scrivere per far vedere che si è bravi a scrivere. Si corre il rischio di infilarsi in vicoli cieci con una facilità incredibile e nessuno capisce più di cosa stai parlando. Voglio dire: anche un quindicenne dopo due bong riesce a fare osservazioni originali, ma sa che è solo il naturale effetto dello sballo. La pretesa di essere geniale con metafore e giochi di parole random è una costante del disco, e la mia intolleranza a tutto ciò fa capolino già dalla seconda traccia. Terzo. Uno che cerca di parlare del dolore con distacco otterrà due risultati in chi ascolta: noia e fastidio. Nel cantautorato la gente cerca empatia, vuole vedere i panni sporchi degli altri finalmente lavati fuori casa, vuole ritrovarsi nel malessere di chi scrive. Qui invece c'è solo un girare troppo attorno alle cose di tutti i giorni, caricandole di significati che non hanno. La quotidianità descritta è stata spogliata di ogni dignità, di ogni spontaneità, e non si capisce più quale sia il punto.
Di cosa stiamo parlando? Se non vuoi scomporti troppo è chiaro che non potrai mai comunicare. La questione è semplice. Ed è che il cantautorato italiano, tra un po', sarà protetto dal WWF; è in assoluto il genere musicale più inflazionato, nonché quello in cui è più facile improvvisarsi artisti. E purtroppo questo disco ne è l'esempio perfetto.
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La recensione Tesi di redenzione di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-08-01 00:00:00
COMMENTI (1)
Guarda, nel ringraziarti di avere ascoltato il lavoro di un pò di persone e del sottoscritto che non si ritiene nè artista nè geniale (e nè tantomeno perchè usa dei "giochi di parole" nei propri testi), ci tengo a dirti che comunque mi dispiace non ti sia piaciuto. Capisco i gusti personali e l'obiettività di un recensore, ma non mi aspettavo ti facesse proprio cagare! Sta di fatto che sono qui a ringraziarti per aver fatto alcune osservazioni interessanti qua e là.