Gazebo Penguins
Raudo 2013 - Punk, Hardcore

Raudo

Nascondono l'essenziale sotto un tappeto di coriandoli per poi farlo divelgere quando è stracolmo. Sguardo lucido di chi sta ragionando sui propri 30 anni.

Di cosa si colora e di quale battito respira questa spinta? Un'esplosione o un treno in corsa. Il fuoco di mille cannoni che brucia tra la gola e il petto. "RAUDO" si presenta così, con l'immagine più pure riot. E viene da pensare subito alle micce accese ed insolenti degli sbarbi, la voglia di far saltare in aria il mondo e una benedetta incoscienza che se sei nato in certi posti di confine ti segna sempre sottopelle.

"Quando 15 anni fa avevamo 15 anni in meno / che bella età di merda i 15 anni"

Sarebbe ingiusto non fare iniziare da qui, da una riflessione sul tempo presente (e quindi sul passato e sul futuro) questo "RAUDO". Che è insieme passo a lato ed in avanti dei Pinguini, straordinari nel confermare tutta la legna già scritta negli annali e con un colpo di reni capaci di smarcarsi, vestirsi di senso nuovo. Avrebbero potuto indugiare sulla presa facile, macinare km di take fino a farne uscire pezzi che sarebbero bastati di per sè, capaci di infiammare ma troppo autocompiaciuti per essere appesi come spille al petto. Invece, fedeli all'etica del cuore da lanciare oltre l'ostacolo, ne vengono fuori con ventisette minuti pieni zeppi di sangue. Consapevoli del proprio tempo, così come allo stesso modo consapevoli e distanti da un'idea che li vuole ormai come una delle band italiane più oneste e deflagranti degli ultimi anni.

La storia è semplice. Se "LEGNA" era stato l'album che aveva aperto le porte, con tutta la dose di attitudine e imprevedibilità del caso, "RAUDO" ne è la versione più matura e cosciente. Concettuale nel legare indissolubilmente ogni pezzo all'altro, senza perderne nemmeno un briciolo in fotta ed urgenza.

Primo appunto: il suono. È un disco di continui saliscendi, pezzi che partono dritti, si fermano, poi ripartono seguendo altri tempi. È tutto teso a sottolineare ogni singolo passaggio, calibrato, messo lì apposta. La batteria che diventa ansiolitica, la chitarra che si sdoppia. C'è una certa tensione, molto Fugazi e Dischord come attitudine. E il disco ne giova parecchio, è dinamico, vario, non sta lì a ripetersi. Ha delle bellissime melodie che sono il punto in più su tutto.

E poi il tempo si diceva. La prima impressione è che adesso di fronte ci siano veramente persone la cui sensibilità abbia fatto a pugni col mondo. Trovatesi, in un un momento storico di indolenza sociale, a doversi guardar dentro per capire. Nelle canzoni compare stabilmente anche Lei, in una relazione che cammina in equilibrio tra passi decisi e eterne cadute. E ci sono degli occhi che si scrutano attorno col peso della nostalgia e del tempo che passa. 30 anni, le rughe, i traslochi, dover togliere il cassetto dal mobile dei sogni. Ovvio, tutto filtrato attraverso il Loro di sguardo, che significa nasconderne l'essenza sotto un tappeto fatto di coriandoli, grammatica latina, calendari, post-it e funerali. Per poi farlo divelgere quando è stracolmo e non copre più niente. E la soluzione sta più in là, nella volontà di piegare il presente verso questi brevi spazi di fuga che, inevitabilmente, finiranno con l'esser legati al ricordo di quello che fu e a una prospettiva futura di rivalsa e coerenza. Tutto raccontato sopra questo mood washingtoniano spinto a cento all'ora, nessun ritornello, nessuna parola lasciata al caso.

È, in questo, un disco al cento per cento Gazebo Penguins. Un rituale d'esorcismo collettivo che troverà al solito la sua dimensione ideale nel live. Per i 20enni che quella boa devono ancora salparla, e per tutti gli altri che invece, confondenosi, vi si ritroveranno specchiati. In questo, ribadiamo, necessario, urgente ed urlato. Un disco bello, vivo e vivido da una band che continua a sorprendere e a farci sfregare una contro l'altra le mani. Applausi.
 

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