Recensire un lavoro come quello di A Soft Lust non è facile per la sottoscritta, in quanto è la prima volta che mi capita di trovarmi di fronte ad uno stile, ad un genere poco conosciuto (…diciamo sconosciuto) e metabolizzato e che, ad un primo ascolto, risulta un po’ 'ostico'.
I contenuti però non mancano, quindi la spinta è buona e le mie orecchie curiose di sentire e risentire.
“Ed è come ritrovarmi a non avere un nome” è la frase (non cantata bensì recitata) che apre il lavoro di questa band milanese, e lo incanala verso atmosfere cupe, spesso sottilmente paranoiche, - come in “Ebano” e “La fine di dio” - , che corrono fino a raggiungere momenti dagli accenti noise, creando un mix fluido e un bel rock potente ed intenso. Poi vorrei spendere una parola sulle chitarre, che mi sono proprio piaciute: nessun particolare virtuosismo, nessuna grande pretesa, ma nonostante ciò il suono risulta secco e preciso, le intenzioni efficaci.
La parte sulla quale la band milanese dovrebbe spendere più energie è sicuramente quella che riguarda i testi, a volte pesanti, forse troppo incazzosi e fine a se stessi.
Nel complesso il giudizio è più che positivo; attendo qualche nuovo pezzo da far girare nel mio lettore, al quale le urla di Silvia non sono affatto dispiaciute…
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2002-12-30 00:00:00
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