“The earth cries blood” è davvero un bel disco, al contempo duro e delicato, spiritualmente atemporale, che va preso di pancia e assimilato, o meglio, interiorizzato con molta calma.
Mi sono sempre trovato particolarmente a mio agio con questo genere di lavori perché penso che incarnino alla perfezione la mia idea di disco, per non dire di musica. E non mi riferisco al genere in sé - vedi il neofolk in questione - quanto più alla scelta che sta alla base di tutto. Trovo, infatti, molto più interessante un disco che, senza mezze misure, riduce ai minimi termini il discorso dal punto di vista stilistico e si concentra molto semplicemente su quello che è, privandosi di qualsiasi tipo di ambizione se non quella di trovare la piena realizzazione nel suo esprimersi in purezza. Vale per il pop, per il rock e per il rap; per l’hip hop come per il metal. La mia tesi, che trova una certa soddisfazione proprio in casi come questo, è che oggi, non potendo inventare più nulla, l’unica strada percorribile è quella al limite; raggiungere il confine per trovare un senso, una ragione d’essere creativa, unica ed originale.
“The earth cries blood” è dunque un disco di questo tipo, un lavoro di confine con scritto “astenersi perditempo” ben chiaro sulla porta d’ingresso. Dark neofolk modello Death In June, Sol Invictus, Fire + Ice, con un tocco ovviamente personale dato in primis dagli interessati contrappunti elettrici (chitarra su tutto): “… cantato, scritto, composto, suonato, registrato, mixato e prodotto da The Child of A Creek con chitarre acustiche, chitarre elettriche, flauto, piano, piano elettrico, organo, arrangiamenti d’archi e sintetizzatori”. Da un punto di vista strettamente pratico non c’è altro da dire, se non che Pantaleimon dei Current 93 canta nella bella “Don’t cry to the moon”. Mica poco: i Current ho avuto l’occasione di sentirli dal vivo in un live pazzesco a Berlino un paio d’anni fa, in una location altrettanto pazzesca come quella del Volksbühne. Tre ore di trance che mi hanno lasciato completamente prosciugato. “The earth cries blood”, con i suoi undici pezzi per quarantadue minuti e rotti, probabilmente non arriva a tanto, però riesce comunque a trasmettere quell’energia, nera e densa, e creare l’atmosfera quasi magica che solamente queste opere sanno generare; ti mette in contatto con la natura. Lorenzo Bracaloni (la persona fisica dietro il moniker) spiega poi così la genesi e l’essenza concettuale del suo quinto disco: “Ho scritto e composto ‘The Earth Cries Blood’ in un periodo difficile della mia vita. E’ un disco molto autobiografico dove la mia persona è messa a nudo come mai prima d’ora. Il disco racconta ricordi, sensazioni, sogni vividi, disperazione, peccati, speranza, colori, vita, morte, gioventù, deterioramento. Registrato in un angolo della casa, in disparte, con lo sguardo lucido rivolto alla finestra fredda, questo lavoro esprime un parallelo oggi più che mai necessario: quello tra le sofferenze dell’Uomo, solitario e diffidente, e le sofferenze della Madre Terra, sempre più lacerata ed incattivita. Così, l’Uomo piange sangue, la Terra piange sangue in un circolo unico ed indissolubile”.
Io non aggiungerei altro, se non che gli undici pezzi, senza distinzione, riflettono alla perfezione lo stato d’animo che li ha partoriti. Lorenzo ha trovato in questo modo di scrivere, di fare musica, il mezzo ideale per esprimersi; che poi è lo scopo principale di chi fa musica in un certo modo. “The earth cries blood” è davvero un bel disco, al contempo duro e delicato, spiritualmente atemporale, che va preso di pancia e assimilato, o meglio, interiorizzato con molta calma e, soprattutto, cognizione di causa. Un disco che, dopo qualche ascolto, fa il miracolo: piange sangue.
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La recensione The Earth Cries Blood di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-07-16 00:00:00
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