Alla fine la linea di separazione è piuttosto sottile: basta che togli una “t” e una “r” a “tamarro” e ciò che ne esce è “amaro”. L'altro lato di Guè Pequeno appunto, quello più intimista, quello che lo spinge a non parlare (esclusivamente) di figa e soldi, soldi e figa. La buona notizia è che in “Bravo Ragazzo” sono presenti entrambe le anime, in maniera equilibrata. E quindi? E quindi alla fine è un bel disco, non ci sono cazzi. Nemmeno la lunghezza (sono 19 pezzi) rovina l'ascolto. Perché bisogna ammettere che quello di Guè è rap coi controfiocchi. E lui è un rapper (detto così suona buffo) a tutti gli effetti: non è più semplicemente un ragazzo con in mano un microfono. Non è più quello di “Mi Fist”, se vogliamo giocarci il tormentone. È un professionista, uno che sa fare bene la sua cosa e dare voce al personaggio creato nel corso di anni di sbattimenti. Punto.
Si parte con la carrellata di singoli, i primi tre cafoni (“Business”, “Bravo Ragazzo” e “Il Drink e la Jolla”), il quarto più introspettivo (“Rose Nere”). E il livello è già settato: produzioni ben fatte, a prescindere dal target di riferimento, con sopra le metriche di uno che sa fare rap, a prescindere dal messaggio. Il fatto è che funzionano tanto le rime per i ragazzini con il New Era storto quanto i passaggi più alti. I bei pezzi ci sono, a cominciare dal già citato “Rose Nere” e “Tornare Indietro” con il ritornello segnato dalla grazia british di Arlissa, fino a “Come Mai (Itaglia)” insieme a Ensi e “Puoi Toccarmi” con Caprice e Tormento. Quel che è certo è che non ci si annoia, dato che a facilitare lo scorrere dell'album concorrono una gran varietà di suoni e di ospiti. Forse non sarà il disco della vita, ma se non altro conferma che Guè Pequeno è ancora in gara. Ed è una cosa assolutamente positiva.
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