Waltzes For Lilliputians viaggia tra synth, chitarre acustiche e voci leggere in una sorta di elettrofolk minimale e intenso.
Di una magia scarna, ambienti tiepidi che non sapendo se avere caldo o freddo comunque hai i brividi, e un uso pacato e impalpabile dell’elettronica quasi fosse soltanto necessario, come quando basta un cenno per farsi capire, chiudere un occhio per intendere ciò che già sai, alzo lo sguardo e tu vieni con me. La prima impressione dopo due brani è vedere i Radiohead in aperta campagna e anche un po’ sporchi e felici, con i suoni ariosi e folkeggianti, con una giornata piena alle spalle, piena di cose piccolissime ma intense, e ammetto che alla terza traccia mi innamoro già: “Waltzes For Lilliputians” è un colpo di fulmine di quelli che si insinuano lentamente e poi tirano forte, cadi nella trappola di assolute, morbide situazioni di minimalismo attento, e non hai scampo.
Il merito evidente dei SignA è quello di riuscire a tratteggiare un’idea, un modo di essere e di suonare ben definito, che è quello e nessun altro, e che si riassume in suoni timidi in massimi spazi, in accenni capaci di riverberare in echi continui, perché sei su una montagna anche se sei a casa, un po’ come affacciarsi da una stanzetta sul verde sconfinato. Pensi ai Kings of Convenience per l’uso delle due voci e la predilezione di chitarre acustiche in primo piano (“Bright Ideas”), all’America più concettuale, quella distante dagli oceani e capace di incantevoli ballads uguali ma diverse (“The Night will Go by as we Sing”), e mettici pure l’omaggio a Neil Young con “Old Man”, essenziale e quasi spettrale nel suo delinearsi lieve, quasi fosse un’ombra che si compone piano e si inspessisce man mano che la luce si fa più forte. La title track è un battito sintetico strumentale che si trasforma nell’incedere, e cammina sul bordo, s’addolcisce, torna indietro, è differente e non inciampa mai: è un prato fatto di pixel, la scansione di un dipinto di Renoir, è davvero bella, e “Where the Crickets Dig” chiude con sensazioni di addio e di ritorno giocate ancora tra note acustiche e synth. Denso seppur minimale, questo disco si muove tra vuoti e pieni, ampiezze e solitudini, effetti e slanci microscopici e arpeggi, e mi conquista con facilità.
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La recensione Waltzes For Lilliputians di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-07-26 00:00:00
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