Immaginate un intraprendente ragazzotto - di quelli talentuosi, che durante la recita di fine anno si dilettano a strimpellare la chitarra accompagnando il coro degli amichetti - che un giorno trova l'annuncio "Band cerca chitarrista per fare le prove". Il ragazzo in questione potrebbe essere Manlio Agostini, la band gli Abetito Galeotta. Il fatto è che da quella formazione da cantastorie giovanile non ne è più uscito, e la fase filastrocca ha intriso la sua musica fino alle costole.
"Cambi di stagione" è un disco cantautorale, che strizza l'occhio fortissimo alla musica del canzoniere da spiaggia, al libercolo da chiesa e a quello da canti del bosco. Il fatto è che l'occhio lo strizza così forte che le lacrime scendono copiose, sui Baustelle, su Branduardi e su Capossela, che del cantare le storie sono professionisti. Nella totalità del lavoro, si percepisce ascoltando, ci sono spunti interessanti: virtuosismi strumentali preziosi e raffinati, anche testi ben riusciti ma il tutto è sotterrato da arrangiamenti poco caldi e spigolosità nemiche della musica che resta. "Canti di nuova stagione", la traccia d'apertura, ad esempio, sembra cantata su una tipica base midi da karaoke. Il cantato, poi, entra altissimo, da tipico pop anni 90; ok dare forza alle parole ma così è troppo.
Lo sviluppo del resto della tracklist comprende filastrocche musicate a mo' di intrattenimento di ipotetici banchetti medievali: l'orchestrina in calzamaglia saltella e fa la riverenza mentre i cortigiani battono le mani sobriamente divertiti. Carbonia, Giacomino dalla bella voce e Il Brigante dalla bella voce hanno un andamento giocondo, da cantastorie manierista, la musica è senza carica e tenta di aggrapparsi con le unghie all'orecchio di chi ascolta.
Nelle strofe si raccontano storie leggendarie, adornate da pifferi e tamburelli, ma per sollazzare chi? Le canzoni che emergono invece dal clima danzereccio sono "Pantera e preda" e "L'uomo e la sirena", la prima per un riuscito arrangiamento stile milonga, la seconda per la capacità di evocare un trasognante dipinto a tinte tenui con l'intrecciarsi di voce maschile e femminile.
Nell'ultima canzone, "Il Vecchio e il Nuovo", il coro (che sa molto di chiesa) da' dello "stronzo" al protagonista. Manlio non merita tale epiteto per la dedizione con cui fa i compiti per casa, il disco ha del sentimento, il maestro da piccolo gli ha dato delle dritte su come si scrivono le belle canzoni e lui ora le mette in pratica, suona la sua musica con gioia. Ma per entrare nei nostri ipod, Manlio dovrà ancora sopportare diverse prove ed affinare la tecnica.
Osservandolo da distante questo album è, come dire, sfocato: ci sono gli strumenti (tanti), ci sono le storie (inventate o vere), c'è pure la voce (un pò troppo impostata) ma tutto appannato dalla macanza di incisività, non rimane la voglia di ascoltare e riascoltare. Arrangiamenti freddi e immaginario di riferimento debole fanno di "Cambi di Stagione" un passo incerto lungo il cammino del complesso Abetito Galeotta. Vedremo dove li porta.
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