Levi Poveroccidente 2013 - Progressive, Indie, Pop rock

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Rock in italiano dai testi diretti

Non è un album che si fa recensire facilmente, questo secondo album dei Levi, almeno volendo andare in profondità. Volendo rimanere ad un livello superficiale ci si potrebbe limitare al comunicato stampa, oppure parafrasarlo con “rock in italiano dai testi diretti”, ricamare un po’ su questa frase, ricordare che ora è scaricabile gratuitamente, trovare una bella chiosa finale e chiudere qui la propria avventura con i Levi, in un mix di presunta professionalità e paraculaggine.

Ma questa forse non è nemmeno la risposta che i Levi stessi cercano, al di là della (relativa) pubblicità che una recensione può dare. Infatti, quando non usano il tono dimesso da ufficio stampa con cui diventano “Pop – Rock – Indie – Prog. 4 cose che ci caratterizzano”, i toni della presentazione diventano ben più accesi, quasi spavaldi: “Una cosa è certa: se cercate fuga dalla realtà, testi scanzonati e musichette indie lasciate stare il tasto PLAY, questa non è la vostra scelta.”, ed è forse a questi Levi che è più interessante rivolgersi.

La musica, innanzitutto. Tra i riferimenti pochissimo indie, ammesso che questa parola abbia ancora un senso, ma, come nel disco precedente, piuttosto certo cantautorato rock italiano, Afterhours e Scisma in primis, ma anche Ritmo Tribale. Ci sono delle evoluzioni, si cominciano a sentire interessanti influenze sia dal sapore inglese mid-2000 come nei coinvolgenti bridge accelerati, sia più sfumate influenze legate a certo prog inglese anni sessanta, sempre comunque incasellati nelle strutture portanti. La qualità generale del suono e la sua compattezza sono decisamente cresciute e restano interessanti pur se non innovative. Le melodie sono decisamente orecchiabili e restano in testa dopo pochi ascolti. A dire il vero, a volte negli arrangiamenti la meccanica generale del susseguirsi tra le parti è ancora da oliare, ma la strada fatta si sente e sarà magari il prossimo obiettivo da perseguire.

La premessa sui testi era chiara, niente fuga della realtà e testi scanzonati e quindi premiamo sul tasto play, partendo “direttamente” dalla seconda traccia. I testi sono incentrati sul tema di una (ri)trovata spiritualità, che non è solo concept dell’album ma anche missione come dichiara proprio in “Poveroccidente”: “Io canto perché a volte la gioia può colpire più a fondo come quando ad uno sgarro si risponde col perdono ed il male lo butto via”. Tematica interessante che però rischia di porre le liriche del combo marchigiano allo scontro (nel senso di “agone letterario” s’intende) con circa duemila anni di letteratura a riguardo e farle uscire un po’ malconce, pur nel profluvio di sincerità di cui è imbevuto tutto il lavoro. L’approccio adottato, continuamente dogmatico e dottrinale anche da un punto di vista etico, sembra quello di un catechismo per ragazzi scritto da un severo parroco, più che quello di un artista che si approcci al mistero. Versi come “Ma quando capirai che senza un’anima pulsante non c’è vita che devi nutrirla con tutto il meglio che ti è stato dato” valgano come esempio. Manca di base un’estetica della rivelazione, come per esempio possiamo trovare nei lavori di Battiato o degli Arcade Fire, tanto per fare due esempi “pop”, sostituita dalla grandezza dogmatica della stessa, come ad esempio nel verso “La verità è scomoda, è una, indivisibile, la verità è sublime bellezza” da “Sublime bellezza”, primo singolo dell’album; oppure un’ode all’anti-relativismo. Serve ancora lavoro per presentare qualcosa di fortemente personale e carico di significato dati gli illustri predecessori, come del resto avevo pre-annunciato.

Si potrebbe tornare alla prima traccia, dove si affronta il tema dell’aborto dal punto di vista dell’embrione, “Embrione” appunto il titolo della traccia, affrontando il tema bioetico con una delicatezza simile a quella di una badilata. Si potrebbe, ma preferisco considerarla un passo falso, anche se fortemente fedele alla promessa di non presentare testi scanzonati.

Ora che ho detto la mia su testi non scanzonati e “musichette (non) indie” io la mia parte l’ho fatta: a voi decidere se premere il tasto play qui in alto a sinistra.

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La recensione Poveroccidente di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-11-11 00:00:00

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