Canzoni cupe di rabbia ponderata, di un suono sporco e "quasi-metal"
Nero. Quello che si ascolta in questo disco è scuro e molto vicino al nero. Anche come attitudine il nero è imprescindibile elemento strutturale nel suono dei Menrovescio, un colore che vela tutto non appena attacca la musica, è mantello e cappuccio di esseri evanescenti. Canzoni cupe fatte di poche, pochissime parole (l'unico imprudente testo compare nella traccia conclusiva Morilavry) e di rabbia ponderata, distesa, didascalica come se un'angoscia si potesse spiegare da seduti solo sbattendo i pugni sul tavolo. Hard-rock, metal, stoner, shoegaze, tutto mescolato e suonato linearmente, in modo sfrontato.
Gutturali ruggiti di chitarra, progressioni musicali a tratti un po' ripetitive ma perfettamente a loro agio nei pezzi e nell'insieme della tracklist: c'è tutta l'alienazione nel distendersi delle lunghe parti strumentali, si percepisce come un rancore verso qualcosa, verso la musica stessa forse, che non esce mai limpida dagli strumenti. C'è sempre qualcosa che cola sbavando. Echi di Kyuss e Marlene Kuntz nella musica del gruppo vicentino, discreta capacità tecnica ed arrangiamenti crudi ad impasto viscoso fanno di "K" un album positivo per chi ama il suono sporco e cupo del "quasi-metal"; sette tracce dopo tutto non sono sufficienti ad ammorbare anche chi a queste atmosfere non è avvezzo.
Rimane la curiosità di sentire un cantato vero, perché l'accenno di voce della canzone conclusiva non può di certo rientrare nella categoria del canto; un testo e la giusta misura di graffio in una voce potrebbero essere fondamentali per un importante salto di qualità e per ampliare il target d'ascolto dei Menrovescio.
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La recensione K di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-11-14 00:00:00
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