Esploratori dello spazio come l'astronauta Neil e in perfetta controtendenza espressiva con l'Italia, il secondo album degli umbri Groundwave parrebbe solcare quei sentieri slow-core/post-rock/wave. Con genuinità e passione decollano sprazzi electro post rock ("Spaceman"), planate su lucide e raffinate ballate slow ("Don't Speak, Just Whistle", "Don't Panic - Shubidubidubá") accendono poi razzi shoegaze di chiara ispirazione Ride ("Wonder Town") fino all'atterraggio in un mix di minimalismo elettronico e psichedelia post-rock memoria "Requiem" Verdena ("Orca Slut"). Sospesi nello spazio sopra le nostre teste o rinchiusi in un uovo che scende sul fondo degli abissi, la suggestione che deriva dall'ascolto è quella di un viaggio dentro e fuori noi stessi, in un universo che è nostro ma allo stesso tempo condiviso con le persone che ci circondano. Vincere la gravità e levitare ascoltando il battito del proprio cuore e di chi ci accompagna.
"Space is only noise if you can see".
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