Il Parto delle Nuvole Pesanti
Che Aria Tira 2013 - Folk

Che Aria Tira

Tira aria di transizione in casa Parto delle Nuvole Pesanti. Alla ricerca della quadratura del cerchio, ecco un disco non brutto ma senza dubbio prescindibile.

Tra queste righe non troverete nessun riferimento a Peppe Voltarelli e ai tempi che furono. Premessa (promessa) doverosa quando ci si ritrova a disquisire sul Parto delle Nuvole Pesanti e sui tentativi di Salvatore De Siena e compagni di far quadrare il loro cerchio dopo i recenti via vai. E comunque diciamolo sin da subito: se siete nostalgici del passato ed eravate rimasti indifferenti di fronte a “Magnagrecia”, allora è il caso di mettersi il cuore in pace, tanto non vi entusiasmerà nemmeno “Che aria tira”. Questione di istintività (che latita), di irruenza (che c’è ma non si nota troppo), di canzoni che al massimo possono definirsi carine (ma niente di più). Eppure che ci sia una volontà di sperimentare qualcosa di nuovo è innegabile: lo si comprende dagli etti di elettronica lasciati in bilancia (il comunicato stampa della Ala Bianca è lì a spiegare che il tamburello “dialoga con il computer”), volendo anche da un pezzo di ispirazione beat come “Terapia sociale”, anche se poi tutto cambia per non cambiare niente (o quasi). Perché la tradizione della musica popolare rimane pur sempre la costante della band calabro-emiliana al di là dei byte, assieme ai testi da combattimento (pur se macchiati da qualche eccesso di retorica), ora alla ricerca di storie impolverate dal tempo (quella del condottiero arabo Alì Ochali) o dalla ragione di stato (“La nave dei veleni”, con tanto di cameo di Carlo Lucarelli), ora in combutta con la difesa dell’ambiente (“Crotone”, alla voce c’è anche Fabrizio Moro) o con la rabbia provocata dalle morti bianche (“Ho visto gente lavorare”, dedicata alla tragedia della Thyssen Krupp di Torino).

Tanto basta per mettersi d’accordo su di un assioma: “Che aria tira” non è disco brutto, però gli manca il quid, direbbe il Silvio. E mancano canzoni decisive, tipo “Cioni”, “Sule” o “Tutti pazzi” (sì, d’accordo, non l’ha scritta il Parto ma ci siamo capiti), manca la cattiveria (anche nelle liriche, è innegabile) e anche qualcosa in grado di farsi ricordare a lungo. Va bene, siamo finiti dritti dritti a parlare dei suddetti tempi che furono, premessa/promessa saltata, ma in fondo era inevitabile.

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