Mentre là fuori la più gelida delle notti si scioglie sotto una luna materna chiudete tutte le finestre, staccate il telefono, accomodatevi sulla vostra poltrona preferita e lasciate che “The Depth of the Shade“ di Andrea Braina diventi croce e delizia per le vostre orecchie durante i suoi 43 minuti di zoppicante rivisitazione dei desolati paesaggi darkwave dell’ultimo trentennio. Il debutto sulla lunga distanza del musicista sardo procede a gattoni tra suoni incerti e arrangiamenti ridotti all’osso – nel rispetto della miglior tradizione DIY – a tratteggiare quella che a tutti gli effetti è né più e né meno che una remissiva dichiarazione d’amore nei confronti delle esperienze neo-folk di Death In June e Sol Invictus quanto delle alienanti fascinazioni notturne di Joy Division, Dernière Volonté, Bauhaus, Cure e Chameleons. Se “Some Stories”, “Black Ink” e “No one called me” sono letteralmente gocce d’inchiostro rubate alla penna e alla voce di Douglas Pearce (a tratti pedissequamente imitato dal Braina), “Yellow Purple Pink” rincorre le angosce metropolitane di Mark Burgess & soci mentre “Like Yasterday” ruba per una manciata di secondi le pedaliere al buon Robert Smith.
Tutto il resto, tra piccoli plagi, episodi un po’ maldestri (“Of Defeated”, “By memories”, “Faith”) e intriganti suggestioni figlie del crepuscolo, si consuma ancora una volta nella celebrazione di una marziale ed enfatica bellezza per nulla logorata dal tempo.
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