Fryderyk
Fryderyk 2013 - Rock, Indie

Fryderyk

I Fryderyk hanno fatto la gavetta e ora fanno sul serio.

“Veniamo tutti da esperienze di cover band” è un esordio che può suscitare reazioni diverse. La prima è: i ragazzi hanno fatto molta gavetta e sicuramente suonano bene, sanno il fatto loro. La seconda è: le cover band sono la tomba della musica. E' pur vero che più o meno tutti hanno fatto cover agli esordi, ugualmente, che chi ne ha fatte troppe, e per troppo tempo, si cuce addosso vizi e virtù di altri e non trova la sua strada. I Fryderyk stanno nel mezzo. Nel senso che suonano da paura, che hanno tecnica e suoni da paura, e che il cantante sa cantare, da paura. Vi pare poco? Si parla di un gruppo che non avrebbe sfigurato al concertone del primo maggio in Piazza San Giovanni, anzi, avrebbe fatto molto meglio di tanti altri nella sessione pomeridiana. Questa era la buona notizia. La cattiva è che i testi sono inconsistenti, e ci sono formule tipiche del rock italiano degli ultimi vent'anni che regalano sbadigli. Le canzoni sono lunghette, e l’attenzione cala se strofe e ritornelli si ripetono in maniera pedissequa.

Cerco di fare un'analisi dei brani al microscopio, uno per uno. 

“Sulla schiena” diffonde una bella atmosfera nell’aria, c’è qualcosa dei Timoria, quelli degli inizi, quando ancora cantava Renga. Lo stacco a metà pezzo è inaspettato, e molto potente, è il momento migliore. Di fatto con questo approccio l'EP parte abbastanza bene. Il dramma è che i pezzi a seguire sono troppo simili , e questo è forse il difetto peggiore di tutto il lavoro. “Respirando” parte molto bene e si siede solo nel chorus. E' il problema delle canzoni belle a metà. Il palm muting terzinato nell'intro ricorda i Papa Roch, ma proprio solo quello. Il cantato (in termini di intonazione ed estensione) è ottimo, sembra una fusione tra Layne Staley e Cornell, anche qui un testo vero avrebbe aiutato. "0.44" inizia più o meno nella stessa maniera del brano precedente, e quindi arrivare alla fine è faticoso. Siamo davanti ad una brutta canzone dei Karma (per chi se li ricorda, tra le pochissime grunge band italiane nella prima metà dei '90). "Ultimo passo" avrebbe avuto bisogno di una produzione più professionale, forse è la migliore del poker. Ancora una volta è tutto giusto ma il ritornello annoia. Nel song writing suggerisco di non partire dalla strofa ma fare un lavoro inverso, magari aiuta. Il giro di basso di “Un solo momento”, così come la cover dell’Ep, fa il verso ai Muse, che lascerei stare lì dove sono, senza tentare folli emulazioni. Nonostante il tiro delle chitarrine funky nella strofa, e il crescendo del bridge, il pezzo si siede su quel tempo "disco" che, davvero, non se ne può più. Aggiungo: se ci fosse un testo al posto della carrellata di vocali non sarebbe male. Lo stacco jazzato a metà brano invece è una genialata.

Chiosando: se quest'estate i Fryderyk si chiudessero in saletta per un mese, a ragionare sulla direzione da prendere, avrebbero tutti gli strumenti per fare quello che vogliono. Allo stato delle cose, il lavoro è debole.

 

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