Trovare la chiave giusta, non è mica sempre facile. Quando hai una porta davanti stai lì a frugare a lungo e non viene mai fuori, quando affronti un tema non sai da che parte cominciare, quando parli con qualcuno e ti sembra migliore di te e hai paura di sbagliare; e quando ascolti un disco, e ti vengono in mente tante di quelle cose e non sai se vengono in mente solo a te, ma alla fine poco importa: per i ricordi, i sogni e gli innamoramenti il giudizio non conta, credo. Così torno indietro di vent’anni e ho davanti la mia adolescenza, le idee condivise con chi era tanto simile a me, massimi sistemi uniti a serate che si beveva all’infinito senza sentire il sapore di niente, scappare lontanissimo per restare fermi in fondo, sentirsi diversi ed esprimerlo in maniera naif, indossando scarpe una diversa dall’altra, capovolgendo i crocifissi a scuola, convinti di morire a 27 anni come tutti quei cantanti famosi. Ecco, le cose che ho pensato ascoltando “Non Vengo Più Mamma”, e leggendo il fumetto di Igor Scalisi Palmentieri con testi di Di Martino che l’accompagna; ho ricordato certe affinità, l’unione assoluta e pulita, senza tornaconti né precise visioni del domani, fatta di essere semplicemente anime in qualche modo allineate: anime sì, ché il corpo non esiste, già, ma cogli anni si fa pesante e copre i desideri e li spezza mandandoli chissà dove, forse dove va chi muore, forse là c’è ancora tutto da realizzare.
Colpisce la presa elettronica di ogni brano, il procedere sintetico dei suoni che si sposa alle parole gentili, alle parole che coi Dimartino sanno sempre di fiori, chissà come, hanno il profumo di un giorno che ancora non c’è, di finestrini aperti e silenzi rotti da cicale e sorrisi parlanti, e persino “Il Corpo Non Esiste” che è un pezzo strumentale riesce a comunicare quasi fosse colmo di frasi. “Piangi Maria” è una meraviglia, quant’è dolce su quei tappeti sonori fatti di ricami sottili che a un certo punto scoppiano e corrono verso gli occhi, senza rifletterci troppo strappano una lacrima e la portano rapidamente sulla guancia, sul mento non tralasciando l’angolo della bocca dove un po’ si sofferma, per poi precipitare sulla maglietta e su “Scompariranno i Falchi dai Paesi”: e tutto scompare, e tutto non è, e sembra quasi di vedere il mondo come un enorme lenzuolo disegnato in ogni punto che pian piano viene tirato via, non so bene da chi, né so bene cosa ci sia sotto, ma ho questa immagine davanti ed è come se fosse reale, e non è per niente facile trovare la chiave esatta, e non è affatto semplice saper raccontare. E mentre tutto cade in “Come Fanno le Stelle” io sento soltanto il rumore quasi impercettibile del sole che scende e se ne va, e quella sensazione di imminente fine che è solo il giorno che si chiude, per molti, e per alcuni è il momento di partire: “Non Torneremo Più” è il brano più sostenuto, più compatto e ‘suonato’, e lì mi perdo nell’idea che un addio è comunque sempre un inizio, che i sogni infranti da qualche parte dovranno pur andare, come chi manca, chi fugge o chi non incontriamo più. Non so se il corpo davvero non esiste, ma deve esserci un posto dove non servono chiavi, e tutto è più leggero, di quella leggerezza che non abbiamo più, e là riavrò i miei superpoteri e un fiore per vederti felice.
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