“Holiday in the universe” degli IK14 è uscito nel 1998. Questo che abbiamo in mano è il loro secondo disco; “Second time”. Sono passati quindici anni, ma non sembra. A volte è davvero meglio così.
Per ascoltarlo, mi sono portato quest’album in viaggio. Meta del mio viaggio: Berlino, una città in cui ho vissuto, che conosco a menadito, e dove spesso e volentieri torno, a volte per lavoro, altre semplicemente per godermi la città. Berlino è la capitale europea della musica elettronica. E gli IK14 fanno musica elettronica. Contaminata. Ho pensato fosse il caso.
Facciamo il punto. E cito dalla bio, perché non credo che tutti qui conoscano gli IK14: “Al fondatore storico Marino “Malima” Peiretti, alla chitarra elettrica multiforme, filtrata da una vasta gamma di effetti e manipolazioni che la rendono a tratti irriconoscibile e al lap-Top, si aggiunge, sostituendo il fratello e Dj Gianluca Peiretti, l'eclettico batterista Dario Milan portando l'umano tocco alla sezione ritmica ed è proprio sua l'idea della rinascita del gruppo. Il sound diviene più elettronico, il suono del nuovo millennio più evidente, anche se permane e, anzi, viene enfatizzata la dimensione fisica del suonare con l'interazione delle macchine, in particolar modo nelle situazioni live. Etereo e al contempo concreto, questo nuovo progetto fa del suono stesso la sua forza espressiva e vitale”.
Gli IK14 si descrivono così. Io aggiungo: “Second time” conta undici pezzi e sfora abbondantemente l’ora di durata. Dentro ci si trovano Amon Tobin, Photek e gli Aphex Twin. Funziona? Funziona. E’ pesantino, ma funziona. Non mi si fraintenda però: il fatto è che “Second time” è un disco davvero massiccio, e non mi riferisco solo alla durata. E’ l’atmosfera la prima cosa da “digerire”. Un’atmosfera fatta di layer sonori estremamente cupi sui cui s’innestano beat che delineano trame molto ben elaborate intrise di jazz, dub, ambient e minimal. A questo si aggiunge poi qualche accenno sparso di world music, e il gioco è fatto. “Second time” è uno di quei dischi che necessitano di poche parole e di parecchi ascolti (anche in sottofondo va benissimo). E’ un romanzo molto lungo, complesso e, anche per questo, affascinante; la colonna sonora di un film senza tempo. Perché sono passati quindici anni, ma non sembra. Quello degli IK14 è un mondo parallelo, raggiungibile attraverso vero e proprio salto nel tempo: si legge viaggio, ma si pronuncia trip. Ascoltarlo a Berlino mi ha fatto un certo effetto.
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