Senza tanti giri di parole dirò da subito che il disco degli Eternauti è davvero faticoso da ascoltare. Quarantaquattro minuti che non danno mai nemmeno una piccola scossa sono un po’ troppi e i motivi sono svariati. Prendiamo “La vita che non c’era”, un pop rock fiacco che procede per singhiozzi, come se i vari elementi del brano non riuscissero ad amalgamarsi fra loro e andassero, al contrario, ognuno in una direzione diversa. La prima manciata di secondi della seguente “La fotografia dei Led Zeppelin” sarebbe anche piacevole se non entrassero subito in scena le doppie voci che si alternano, assumendo la grottesca forma di una sigla di un cartone animato, oppure “Ventotene” con i suoi synth acuminati che sembrano messi lì come dei tappabuchi. Di base manca l’energia necessaria che convince l’ascoltatore a procedere con le tracce e questo succede, ad esempio, in “Senza fine (Carlo Marx)", poco curata negli arrangiamenti e ancora sottotono. L’impressione è che la band suoni perché costretta, senza riuscire a trasmettere la passione che sono sicura i ragazzi abbiano forte dentro di loro, ma è chiaro che questa mancata comunicazione con chi sta dall’altra parte non giovi al disco.
La mancanza di attenzione per i particolari si sente in “Il metodo”, un pop rock circolare dai vaghi sentori grunge, o in “Carro armato”, chitarre sporche prive di carica che restano lì, in secondo piano, scavalcate di nuovo dai synth. Ci sono anche episodi migliori, per fortuna, come la title track “Il vuoto è segreto” con quell'andamento blues e il basso che qui tiene bene la struttura del brano, più forte rispetto agli altri o “Essere meraviglioso”, più diretta e concitata e finalemente la testa smette di caderti sul tavolo. Insomma, non siamo alla sufficienza con questo disco, ci sono troppe cose che non vanno e c'è bisogno di rimboccarsi bene le maniche per i prossimi lavori.
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