Edith Aufn
Edith A.u.f.n. 2013 - Pop, Acustico, Post-Rock

Edith A.u.f.n.

Intrecci e volute di fumo, chiacchiere pop e virgole prog, retrogusto sincero

Ci sono degli interessanti intrecci di chitarre, c’è l’inverno, ci sono le castagne sul fuoco e un po’ di vino rosso che scende ascoltando un vinile anni sessanta trovato in soffitta. C’è il sapore della terra, dei funghi, della nebbia, dell’umidità che ti entra nelle ossa e che cerchi di attutire con una coperta addosso, i piedi sulle travi, una sigaretta in bocca e volute pensose. Ma i vetri appannati ti riportano indietro, all’aria calda di quel luglio in quei camerini confinanti dei Flaming Lips e dei Verdena, al doppio live di Padova e Torino di un paio di anni fa. E c’era una copia di “Viaggio senza vento” dei Timoria appoggiato in un angolo, non so più se dei camerini, della baita immaginaria sugli Appennini in cui passare l’inverno ad ascoltare questo disco o del cruscotto della mia auto che affrontava la pianura padana ormai immersa nel buio della notte, finestrini spalancati e pensieri in libertà. E forse, sì, c’era anche la marmotta che confezionava la cioccolata, ma era di certo col müesli.

Perché perdersi nel groviglio prevalentemente acustico di chitarre è facile, così come adagiarsi sul suono delle parole e poi seguire i propri pensieri. Un esordio solido, pensato e registrato con cura, con arrangiamenti cesellati, debitori anche ad un immaginario pop-rock vicino anche al prog inglese, seppur solo in qualche libertà concessa entro i tre minuti a canzone. Il disco nella sua interezza è stato ben congegnato ed ogni calo di tensione è rapidamente recuperato, con una frase di flauto, con piccoli richiami interni al disco, col cambio di lingua.

Manca forse la zampata di una produzione maggiormente “pop”, più attenta nell’accentuare certi aspetti a discapito di altri, ma è questa la bellezza di questo album, ancora con quel sudore di sala prove e di caleidoscopica corsa nel cercare di arricchire e non togliere nulla, perché ogni sfumatura entri. Un disco che ancora si lascia scoprire piano ma che piano piano ti entra in circolo e il cui retrogusto ti accompagna ancora un po’, in quel senso di stordimento sereno, una volta premuto il tasto... STOP.

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