Tempo fa giunse sulla mia scrivania un demo delizioso, pieno di chitarre e passione, suonato da alcuni ragazzi pisani che lasciavano ben sperare per un futuro interessante. Nel frattempo pare che quel demo abbia trovato come farsi largo tra le imprevedibili traiettorie del mercato discografico, fino a raggiungere il cuore della Rising works / Adverse rising, convincendola a produrre l'esordio discografico di questa formazione. La ricetta degli Atman non nasconde alcun ingrediente segreto nè stranezze sperimentali, l'obiettivo dichiarato è costruire "belle canzoni".
Dal primo all'ultimo istante di questo disco, e' chiaro che il punto di partenza è una naturale estensione della consuetudine tipicamente grunge, con la ricerca intensiva di melodie articolate su una matrice hard-rock. Una struttura decisamente derivativa e a volte imitativa, ma affrontata con disarmante freschezza e con una rarissima capacità di riproporre con naturalezza la tradizione del rock americano.
Gli Atman si esibiscono in effusioni chitarristiche che pur, riassumendo le spigolosità dei Nirvana, ricercano testardamente innocenti aperture melodiche e appiccicosi ritornelli, che spesso si avvinghiano senza lasciare scampo. L'intensità pervade l'intero album, con una capacità di comporre vivaci ed energiche ballate che probabilmente piacerebbero molto a Michael Stipe.
Partendo dall'instabilità di Cobain, è senz'altro ai Placebo che occorre guardare per rintracciare i lineamenti vocali di Devid Winter, capace di di regalare momenti di grande trasporto emotivo, sovrapponendosi ai suoni con lunghe ed accattivanti vocalizzazioni, arricchite da un uso della parola inglese decisamente raro per la nostra penisola.
Un album "straniero" composto e suonato da ragazzi italiani, che si dimostrano in grado di lasciare indietro diverse miglia molte delle power band americane che affollano le top of the pop mondiali.
Certo, c'e' ancora da lavorare, riflettere, raffinare e cercare una via compositiva più personale, magari svoltando a favore di una scrittura in italiano che potrebbe valere il definitivo salto di qualità. Nel frattempo diamogli fiducia e godiamoci questo lavoro, che in fondo non vuole essere niente più che un gran bel disco...
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La recensione The Life I've Never Had di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-02-08 00:00:00
COMMENTI (1)
purtroppo non mi sono dedicato a trovare questo disco per vie legali...però se mai dovessi sapere di un loro concerto, non me lo perderei di sicuro...complimenti:[