Ci vuole coraggio a registrare un album in presa diretta, in soli due giorni, quasi solamente con una chitarra acustica e voce, due sole tracce. E Francesco Spiaggiari, cantautore romano-romagnolo qui al terzo disco, il suo coraggio ce l’ha messo tutto. In una canzone, "Finalmente terra", a dire il vero, c'è il pianoforte come accompagnamento, ma la scelta non cambia. Se parliamo di coraggio, ce ne vuole ancora di più se non si è virtuosi o perlomeno fortemente padroni della chitarra: la chitarra diventa una piccola stampella gracile per la voce, per nascondersi vale poco, e le piccole imprecisioni sullo strumento puntano ancora più il dito sul resto, lasciandolo solo a riscattare il valore artistico del tutto. La scelta di registrare la chitarra acustica così al naturale poi, quasi senza effetti d'ambiente, la fa sembrare quasi irreale e l'esperimento pare un tentativo di farsi del male nell'iper-realismo, come se di base vi fosse la paura di non sembrare abbastanza sinceri, non abbastanza soli con le proprie canzoni. Soli per sottrazione ma anche come presa di coscienza dei propri limiti, come in "F.A.Q.", questi i due fili che si intrecciano nei testi. A dire il vero, se il punto di partenza è se stessi, soli, l'intero disco, è un continuo racconto ad un'altra persona, a cercar conferme o risposte ai propri racconti. Il piano su cui tentar svolgere questa matassa interiore è un cantautorato per molti versi tradizionale, ancora fermo agli anni settanta italiani, sospeso tra Battisti e Venditti, quasi-Dalla verrebbe da sussurrare a volte, prendendo dal primo la parte più sguaiata e dal secondo la fluidità dello story-telling sospeso tra sé ed il modo esterno. E quando le storie mancano, un ininterrotto flusso di coscienza rompe il silenzio a rafforzare l’intimità che sin da subito si crea tra disco ed ascoltatore, lasciato libero di frugare in ogni angolo, che di anse nascoste non ce ne sono. Il disco funziona, nel suo voler esser onesto, anche se mancano ancora quelle sfumature da scoprire nel tempo e che fanno crescere un album con gli ascolti. Qui finisce la recensione dei primi otto brani.
Una volta chiuso il disco, purtroppo, il coraggio dev’esser venuto a mancare e da qui l’inclusione, in coda a “Canzone di Natale”, di una telefonata di Piero Pelù che si complimenta dopo un provino di novanta secondi a “The Voice of Italy”, seguita da una riuscita cover di “Amore che vieni, amore che vai” (che presenta guitar playing molto più sicuro rispetto al resto del disco, a dire il vero), inutili e/o superflue giustificazioni alla validità del progetto presentato.
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