Disco dell'anima e dell'equilibrio. Molto interessante
“L’attesa del nulla” è il disco dell’anima e dell’equilibrio. I Vedar mettono in musica la prima cogliendone la duplicità, quella distanza incolmabile tra l’intimo e l’esteriore. E così il disco è fatto di continui passaggi dalla quiete al suo sconvolgimento. Se c’è silenzio fuori / dentro grandina probabilmente è la frase che spiega tutto, la ascoltate al secondo brano (“Se c’è silenzio”): è la testimonianza dei moti dell’anima. “L’attesa del nulla” è capace di scorrere lento sulla superficie del corpo, prima di affondare la propria lama nella pelle. Lo fa con una musica originale che deve molto alla tradizione internazionale, un rock duro e talvolta rabbioso, a cui si aggiungono strumenti inconsueti: c’è l’ukulele, il clarinetto, i fiati, l’armonica. Sembra impossibile, ma i Vedar si tengono in perfetto equilibrio. E l’equilibrio sta anche nella voce: a tratti sembra quella di Elisa, altre volte quella di Dolores O’Riordan dei Cranberries. Ogni tanto sembra che stia proprio sul punto di sbagliare, ma proprio in quel momento si riprende al volo, come un equilibrista che scivola, oscilla un po’ e poi torna perfettamente fermo e stabile.
“Dydd Sul” è il terzo brano, si apre con il piano e una voce sussurrata, ma quando finisce la prima strofa sorprende con chitarre stridenti e una voce che si alza per gridare la propria vendetta (guardami e rovinati / mentre ritrovo la mia agognata serenità); “Fragolucciole” all’inizio sembra quasi folk, poi prende il sopravvento una sorta di ska che la rende allegra e meno impegnativa; poi ci si perde “In mare aperto”, dove ancora la mancanza di pietà la fa da padrona; “Il becero e il poeta” invece è un’accusa ai tempi moderni e all’indifferenza che ci rende complici. E poi c’è “Tangram”, che sembra il gioco tradizionale di qualche generazione fa. È fatta di figure geometriche che combaciano e creano forme riconoscibili, creano animali, un uccello che possa volare alto via da te / verso spazi che non so fino a non riuscire a distinguere / l’orizzonte nitido / e stentare a ricordare: è voglia di evadere da qualcosa che si vuole cancellare. Basta mischiare i pezzi e la forma scompare, silenziosamente. Tutto si chiude con il sogno di un fiore (“Dream of a flower”), l’unico brano in inglese, che è anche quello in cui si raggiunge la quiete (here, nothing else but light). Qui è più evidente l’influenza dei Cranberries, soprattutto nella voce, dolce, adeguata al testo e alla musica. Una chiusura soft che lascia soddisfatti.
Altro che “L’attesa del Nulla”, io mi aspetto tanto da una band riconoscibile al primo ascolto, che spazia tra forme diverse, in una visione psichedelica e cangiante della realtà, che nonostante tutto resta sempre in equilibrio.
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La recensione L'attesa del nulla di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-09-12 00:00:00
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