Sir Rick Bowman
Shades Of The Queue 2012 - Folk, Alternativo, Pop rock

Shades Of The Queue

Disco che strizza l'occhio a sonorità fortemente britpop ma che lascia spazio a soluzioni pop rock personali

Sto passeggiando nella periferia di Londra, mi allontano per un po’ dal centro perché sono stanca del caos, ho voglia di farmi i fatti miei e camminare senza pensieri, con un po’ di musica nelle orecchie. Decido di mettere su “Shades of the Queue” di Sir Rick Bowman e mi lascio trasportare senza pensare troppo, solo leggerezza e via i pensieri pesanti.

La opener “Changes” (che paga pegno a "Pounding" dei Doves) mi martella in testa e il rullante secco e deciso non molla mai fino alla fine, chitarre un po’ dreamy e una voce che rimanda al Liam Gallagher dei primi tempi, prima che si distruggesse le corde vocali e prima di gracchiare ad ogni live. “Streets Where I Belong” è il prolungamento della precedente, il sapore del britpop continua, ritornelli che volteggiano nell’aria fredda e nebbiosa della città. C’è spazio anche per i synth e l'atmosfera più elettronica di “Over Boarders’ Ground”, pezzo sognante che mantiene il ritmo incalzante dei precedenti. Il mood adesso si fa più dolce, con le tastiere evanescenti di “Tied Down”, fino a che mi sento un po’ dandy nel canticchiare “Dear Mr. Time”, pezzo scanzonato che si fa via via più deciso, la batteria inizia timida e la ritmica si ripete fino alla fine. “Stop” ha dalla sua l'eco di synth magici, che ruotano e danzano in cerchio, tenendo per mano una tastiera delicata e una batteria decisa e ripetitiva, e improvvisamente mi sento carichissima con l’attacco di “Maws/The Jug”, brano dal sound galoppante che dalla seconda parte in poi lascia la scena ad una chitarra che stravolge tutto. La fine della mia passeggiata è tutta di “Ghost”, traccia leggermente psichedelica/elettronica che mi riporta in centro, nel caos, fra le facce sconosciute delle persone che camminano veloci.

Sir Rick Bowman e i musicisti che lo affiancano in questo viaggio sono riusciti a confezionare un disco che, nonostante strizzi l’occhio a sonorità di matrice fortemente britpop, lascia spazio a soluzioni pop rock personali, sperimentando suoni personali che si discostano dal solito “sentito e risentito”; la pronuncia inglese è credibile, cosa che, purtroppo, non succede spesso e i brani scorrono bene uno dopo l’altro. Come esordio non è affatto male, una bella prova.

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