Questo disco mi riporta all’infanzia. Non perché abbia nulla a che fare con quello che ascoltavo in quel periodo (o quasi), ma per altri due motivi: per il nome del gruppo, L.ego, giocato di fino tra ‘ego’ e le splendide indimenticate costruzioni di cui sarò sempre fan, e perché mi vien voglia di dividere una lavagna in due parti uguali, verticalmente e di scriverci da una parte ‘buoni’ e dall’altra ‘cattivi’.
Tante sono le qualità e le pecche di questo lavoro, infatti. Dalla parte dei ‘buoni’, col gessetto consumato che mi sporca il sinale blu, scriverei che nonostante la miriade di nomi di riferimento che mi vengono in mente all’ascolto (e che il gruppo stesso cita: Afterhours nel cantato, Marlene Kuntz nei ritmi, S.O.A.D. mischiati a una certa elettronica subsonica negli arrangiamenti), la miscela risulta eccezionalmente nuova e personale. I testi sono indubbiamente validi e forti di quel lirismo ispirato, disilluso e post-adolescenziale che può trovarsi condiviso facilmente da chiunque. Alcune frasi rimangono in testa e ci si ritrova a cantarle al secondo ascolto. Il lavoro in studio, considerando che è svolto per la maggior parte dal gruppo, è ben fatto, gli arrangiamenti sono vari, belli gli stacchi e le equalizzazioni, e insomma non ci si annoia. La voce di Cene convince, soprattutto sui toni alti.
Dall’altra parte i limiti, e cioè tanta ripetitività nelle strutture armoniche: giri statici di quattro accordi che a volte (altro richiamo) rimandano alle vincetemperiane memorie di Daitan 3. Un approccio spesso troppo prolisso alla forma canzone, anche nelle durate, e quella voglia di staccarsi dai citati modelli a volte non basta per decollare - o forse è solo giunta l’ora per i L.ego di aggiornarli ‘sti modelli?
Nel dettaglio, tra le canzoni spiccano “Autunno”, con la sua elegante veste elettronica al punto giusto, “Gabardine”, un tema felice, col basso più funky-crossover e un ritornello-calamita, ma svolto appena controvoglia, e “Solubile”, la migliore prova di Cene alla voce.
In “Elogio al pianto” lo stesso canta: “sono stanco di pensare…” e la sua voce pure sembra stanca, lasciandosi dietro microtoni calanti (può darsi sia voluto, in caso perdono: sei un genio!).
In chiusura “Vino di fragole”, dilatata, onirica, quasi una “Pioggia di luce” del 2003.
E al consiglio dei professori: “Che si fa, li rimandiamo a settembre ‘sti ragazzi?”, ma no, che dico, alle elementari mica si usava… si parlava con i genitori: “Guardi signora maestra, siamo sicuri anche noi che i suoi figli abbiano buone capacità, dovrebbe vedere a casa quello che sono capaci di fare con le costruzioni…”
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La recensione demo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-02-19 00:00:00
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