Non mi è dato sapere con precisione l’età dei componenti della band, ma dalla piccola foto pubblicata all’interno della curata confezione di questo “Malkuth ep”, si riconoscono fisionomie che tradiscono la giovane età. Supposta giovinezza all’anagrafe dunque, ma uno stile che punta dritto indietro nel tempo con influenze che collegano i cinque brani qui contenuti ad un riferimento rintracciabile nei suoni del periodo a cavallo fra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80, ma che poi trova ampie aperture anche al riferimento rispetto a quello che veniva proposto dalla scena internazionale esattamente dieci anni dopo.
In riferimento alla prima epoca citata si sarebbe parlato di new-wave o post-punk, ora, forse giustamente, di indie-rock, visto che è altrettanto evidente una buona dose di noiseggianti fraseggi fra chitarre sferzanti ed un cantato non certo ‘delicato’.
Sinceramente non si riesce bene a capire quanto sia cercata questa formula poco accondiscendente o quanto in realtà dettata da quelli che potrebbero essere i limiti, in particolare proprio nel cantato, che purtroppo risulta in più di un’occasione come evidente neo di un complesso tutto sommato stimolante.
C’è da sottolineare ad ampi tratti anche una qualità di registrazione piuttosto approssimativa, che per quanto possa dare a questo ep una connotazione decisamente indie, impedisce in effetti di riuscire a leggere accuratamente le evoluzioni proposte. Una band che sinceramente sarei curioso di vedere dal vivo ed in cui spicca anche, a dispetto di quanto detto precedentemente, un desiderio di esplorare nuovi terreni, con l’inserto quasi sempre piacevole di tastiere, a volte però un po’ troppo invadenti ed in generale timidamente legate ad un clichè standardizzante.
Dalla grinta della maggioranza dei brani spicca dolcemente la non certo trascendentale, ma comunque graziosa “Wipers”, che regala arrangiamenti di archi ed un ritmo cardiaco, che lascia la voglia di ritornare immediatamente sopra ai sui sei minuti abbondanti, grazie a cui ora il riferimento diviene la classica ballata (nu) metal… strano ma vero.
Volendo comunque indicare le tracce più interessanti fra le cinque proposte, direi che oltre a quella sopra citata, il meglio venga espresso nell’apertura (a tratti molto Interpol) di “The day-after song”. Peccato per la nirvaniana (se si prende come riferimento la band americana dei primi tempi) “Void” che a mio dire viene deturpata da un forzato inserimento di piano, che tende a smorzarne la tensione, e spero si tratti solo di un incidente di percorso la bruttina ed insipida “Sciroppo di benessere”.
Per quanto non mi senta in diritto di silurare con un parere negativo questi Sephiroth, a causa della pessima registrazione, e dei palesi limiti tecnici (comunque sempre migliorabili), spero mi venga concesso il diritto di rimandare alla prossima prova, magari più matura, la band lombarda.
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La recensione Malkurth ep di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-02-20 00:00:00
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