Antonio Allegro Black Tuff 2013 - Rock, Blues, Alternativo

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Un esordio blues-pop sulla scia di Gary Moore e Robert Cray: diverse belle idee, qualcosa ancora da aggiustare

Antonio Allegro è un chitarrista napoletano con una lunga esperienza come session man, che esordisce con questo disco solista "Black Tuff": un lavoro in cui saltano all'occhio prima di tutto i suoi virtuosismi con la sei corde che, lungi dai tecnicismi fini a se stessi, tessono raffinate trame sulla scia dei guru del blues-pop come Robert Cray e Gary Moore (a cui lo stesso Antonio ha dedicato un dvd didattico qualche anno fa).

Ma anche, e non potrebbe essere altrimenti, Stevie Ray Vaughan, di cui evidentemente si sente l'influenza nell'ottima "Madness of Metropolis", brano che più di ogni altro riesce a costruire uno sviluppo drammaturgico attorno ad armonie blues tutt'altro che banali. Caratteristiche che il bluesman napoletano riesce a conferire a "Come down", dall'andamento soffuso e claptoniano nelle strofe che sfocia poi in un crescendo di derivazione hard, ben sostenuto dall'hammond, negli ultimi tre minuti del pezzo. Due episodi di grande, grandissimo blues, che mostrano di cosa è capace Antonio at his best.

Non tutto il disco però è allo stesso livello, un po' perché l'Allegro sorprendente chitarrista non è anche un sorprendente cantante, almeno per ora: nessun errore grave, intendiamoci, solo piccole titubanze e/o imprudenze nell'uso della voce, assolutamente aggiustibili e più che comprensbili in un album d'esordio. Non è però la voce il problema principale di "Black Tuff", che soffre purtroppo di una scelta dei suoni non sempre ottimale, che finisce per pesare sulle spalle di quello che sarebbe altrimenti un disco molto interessante. Penso ad esempio all'insostenibile tastierona di "Like a jewel" (in cui, a onor del vero, anche gli effettini ambient-elettronici sembrano c'entrare poco) o "Good-bye", in cui la somma di assolo strappalacrime + organo + sassofono strabravo ma sbrodolone dà come risultato le atmosfere dei dischi degli Shadows degli Ottanta, quando cercavano disperatamente di inseguire Dire Straits e (argh) Toto.

Sarebbe un peccato buttare via il bambino con l'acqua sporca, perché di talento Antonio Allegro indubbiamente ne ha, e questa tutto vuole essere fuorché una stroncatura. L'idea che mi sono fatto è che, affiancato da un produttore che sa il fatto suo, che non valorizzi solo le sue già evidenti doti chitarristiche ma lavori anche con pazienza sulla voce e adatti in modo coerente il suo suono all'orecchio contemporaneo, potrebbe avere le carte in regola per lasciare davvero il segno in ambito blues, non solo italiano.

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La recensione Black Tuff di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-01-15 00:00:00

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