Argomento: la Bellezza. Autore: Fabio Cinti. Titolo: “Madame Ugo”. Un omaggio al film culto di Valerio Caprioli, “Splendori e miserie di Madame Royale”, con uno strepitoso Ugo Tognazzi nei panni della signora del titolo: già, perché la pellicola racconta una storia ambientata negli ambienti gay e trave romani del 1970. E anche se Cinti racconta che Madame Ugo sarebbe in realtà “una donna che mi ha distolto dallo sguardo monotono per informarmi, attraverso la curiosità verso ogni piccola cosa, che si può superare l’ostacolo apparente delle convenzioni e vivere con serenità sia le meraviglie che le difficoltà”, la condizione omosessuale è il filo rosso che attraversa anche questo disco, ma – attenzione! – vista nella sua naturalità, uno dei tanti possibili modi di esistere in questo angolo di universo.
Cinti non intona anthem, ma racconta ciò che di universale c’è in ogni relazione: l’amore, le contraddizioni dell’io, la lotta quotidiana con esso, la ricerca della felicità. E quindi della bellezza. Così, quando nella incantevole “Dicono di noi” prende come spunto una terribile dichiarazione di Ratzinger, secondo cui le unioni gay sono una “ferita alla giustizia e alla pace”, lo fa rivolgendo lo sguardo alla Bellezza: “Dicono che siamo contro natura, / eppure i tuoi occhi somigliano tanto alle stelle, / alla luce dei fiori, alla tigre, agli uragani”. Con la leggerezza dell’ironia (“Che ci posso fare se sei il mio muso ispiratore / se di sabato mattina non posso fare a meno / di calcolare la distanza fra il mio indice e il tuo naso” da “Che ci posso fare”) che è il portato della gioia di vivere e di amare: “Vorrei, sulle tue ciglia, / come i surfisti nei giorni di vento, / volare” (ancora “Dicono di noi”). Una leggerezza che è fatta di coscienza che l’unicità della nostra esistenza ci impone, molto banalmente, ma molto saggiamente, di cercare la luce in ciò che ci circonda, piuttosto che le tenebre, innamorandosi di tutto: “Com'è che ti chiami tu? / ogni tua lacrima, ogni tuo sorriso, ogni gesto, / lo sa che a volte mi manca?”, canta Cinti in “Genet”, citando non a caso “The Great Gig in The Sky” dei Pink Floyd, brano, come ognuno ben sa, che parla della morte.
La perfetta coerenza tra musica e testi è un altro motivo che rende quest’album Bello: un insieme di suoni luminosi, come raggi di sole che sembrano distillati dai rami come una pioggia pigra di dardi (un esempio su tutti: “L’amore qualunque”); melodie che sanno imprimersi nella mente e farsi cantare senza cadere mai nella banalità; il fresco timbro di voce di Cinti, che ricorda il miglior Alan Sorrenti che canta ora come De Gregori ora come… Cinti stesso; una cura e una varietà negli arrangiamenti che sanno essere al servizio di un ben preciso sentimento del mondo. La leggerezza di Cinti non è quindi mai inconsistenza: tiene presente la tradizione (come nell’esempio citato di “Genet”), ma sviluppa un discorso personale e d’autore. Così come la felicità, per essere tale, non deve ignorare la tenebra, ma solo distaccarsene: “Devo abbandonare la mia personalità empirica / Devo ritrovare la mia personalità trascendentale”, canta in “Devo”, pezzo regalato da Battiato. Ed essere consapevole che la Bellezza fugge la volgarità: “Che bello che finisce l'estate. / Così gli scatenati se ne stanno a casa / con il karaoke e le partite via satellite, / che bello che finisce l'estate. / Si va in giro con l'ombrello e l'impermeabile / saltando le bellissime pozzanghere / nel traffico bagnandoci da capo a piedi…” (da “Finisce l’estate”: con un Cinti quasi novello Gene Kelly).
La Bellezza la puoi trovare dovunque: su Tumblr, dove un ragazzo di Denver canta la sua canzone che Cinti sceglie di inserire nell’album (“Days like this”, perfettamente in tema con disco) o in una bellezza femminile che pure non può ferirlo nel cuore (“E lei sparò”, con la voce di Paolo Benvegnù). O in questo album, una delle migliori uscite italiane del 2013. Non perdertelo: come dice Cinti in "E lei sparò", "la bellezza, si sa, ti tocca e poi se ne va". Sarebbe un peccato non afferrarla.
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