Ritornano sulle scene (dopo quasi 20 anni) i catanesi Flor. Ed era il disco che aspettavamo.
Sono passati quasi 20 anni dall'uscita di "Aria", il terzo disco di una breve ma intensa storia discografica che pensavamo si fosse conclusa definitivamente - non solo noi, a dire il vero - non avendo avuto più notizie da Catania dal 1995. Se si esclude infatti il demo di 5 pezzi datato 1998, i Flor avevano fatto perdere ogni traccia. A sorpresa, invece, il bell'episodio di "Lieve" dello scorso anno - intestato al solo Cunsolo - sembrava essere il primo capitolo di una rentrée solista. E invece, altra sorpresa, nel giro di pochi mesi un album di 11 cazoni inedite ripescando la ragione sociale Flor. Ciò grazie anche al supporto e alla volontà di Michele Bitossi, già Numero6 e Mezzala,nonché deus-ex-machina della Prisoner record e grande fan della band, che un bel giorno si fionda in Sicilia e convince proprio Marcello a rimettersi in pista.
Il rischio, come potrete immaginare, era quello di trovarsi di fronte ad un'operazione che poteva far leva sulla nostalgia. Noncurante minimamente di questa ipotesi, la band riparte esattamente da dove aveva interrotto il suo percorso, tanto che la cifra stilistica non sembra si sia spostata di un solo millimetro. Cunsolo continua a scrivere e interpretare le sue canzoni con quel tipico sospiro che segna in maniera indelebile ogni singola nota, e la band segue a ruota come un orologio svizzero. Quindi, nonostante i quasi 4 lustri che ci dividono da "Aria", la sensazione è che non solo l'ispirazione non sembra affatto scalfita, ma anche i riferimenti sonori si mantengono intatti (per chi all'epoca era un giovincello, parliamo di un sound che - a grandi linee - mischia sonorità jingle-jangle alle pulsioni del Paisley underground), quasi a ribadire che questa è la cosa che il trio - piaccia o meno - sappia fare nel migliore dei modi. E da questo punto di vista la scelta è da assecondare senza se e senza ma.
Incuriosisce invece il lato "mistico" della faccenda, affrontato esplicitamente nel brano intitolato "Con Dio": non credo sia necessariamente un riferimento alla divinità cristiana ("e fra i colori ricordo che il blu mi attirava di più / ora non ho più alcuna fretta / aspetterò il tempo mi aspetta / e non c'è niente e nessuno che può farmi cambiare idea / è troppo grande il piacere che nasce da te la mia fantasia"), per cui lascio al singolo l'interpretazione. Rimango invece convinto che le liriche della prima metà del lavoro sintetizzino una sorta di cammino verso la liberazione da ciò che ha rappresentato il passato ("Alzati e cammina", "Nelle mie vene"), affidando poi a "Comu cani" (unica canzone in dialetto presente nel disco) il compito di chiudere i conti col passato. "Sempre di più", "Mitiche idee", "Quando vuoi" (altro pezzo avvolto da un alone mistico), "Senza una logica" e la conclusiva "Incastonati" (forse l'episodio più emozionante del lotto, con quel suo climax di suoni e parole) rappresentano l'altra faccia della medaglia, una sorta di proiezione su un presente che tende al futuro ("ricominciare a ricontare da te in poi e andare via lontano").
Scontato scrivere, come chiosa, che non sarebbe giusto ritrovarli nuovamente nel 2034 o giù di lì. Ma siccome siamo superstiziosi, non ci costa niente metterlo nero su bianco.
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La recensione Flor di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-05-13 00:00:00
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