Non si può correre soltanto dietro ai sentimenti. Storia di un disco riuscito a metà.
Se non vi dispiace vado al dunque, salto il riassunto su chi siano I Cani, su cosa potevano rappresentare al primo disco – leggetevi la precedente rece che ve li fotografa molto bene – e su quanto il disco fosse sorprendente. Il dunque è che prima i Cani ci raccontavano un mondo fatto di hipster e di file per entrare nei club e nelle pieghe di questo racconto tu potevi intravedere un personaggio nascosto, con le sue invidie, le fratture di cuore, le ansie. Ora il personaggio viene allo scoperto, le sue paure diventano la spina dorsale delle canzoni. E ce le mette nel dettaglio facendoti sentire le viscere che battono contro i nervi e che si stringono di fronte a quel buco grosso quanto un dirupo che si porta dentro. E a naso direi che in Italia riescono a fare questa cosa in pochi. “Glamour”, a mio avviso, ha quattro canzoni molto belle.
Al numero uno c'è “Lexotan”. Cita la “Donna Cannone”, e non vorrei esagerare nel farmi prendere dal paragone, ma se De Gregori ti parlava del coraggio di Lei che per la prima volta in vita sua si lancia nel vuoto senza la paura di non essere bella o perfetta, sapendo tutti i rischi che la cosa comporterebbe, in Lexotan non va tanto diversamente: Lui prende un insieme di insicurezze, aspettative, ambizioni creative, i meriti, le qualità, i riconoscimenti, i giudizi, le mode, si lancia lasciando tutto alle spalle, dice che l'importante (la felicità) in realtà c'è già, è già qui, è più facile, forse è addirittura meno faticosa, sicuramente accettabile nonostante suoni così normale e scontata. E' una canzone onesta e attuale, usa gli attacchi di panico e le feste a inviti per descriverti uno stato d'animo, in pochi ci riescono.
Al numero due c'è “Corso Trieste”, che è un'immagine semplice, la nostalgia di quando Lui era piccolo e poteva permettersi di avere dei problemi senza per forza affrontarli, passare le giornate con il nodo in gola e spleen incazzoso e non saperne il motivo. E' dolce, insomma.
La tre: “Vera Nabokov” parla di Lui innamorato di Lei e di tutti i rischi che la cosa comporterebbe, oggi, che è cresciuto e non è più un universitario, che ha un lavoro, il tour da seguire, i famigliari da accudire. Una storia d'amore moderna e ben disegnata, insomma.
La quattro: “Non c'è niente di Twee”, è quella più vecchio stile, c'è internet e la relativa notorietà, c'è Roma al microscopio, c'è anche una bella malinconia attorno a “quei quattro poveri stronzi”. Oltre ad essere la meglio prodotta, leggermente LCD Soundsystem, con tutti gli strumenti che si sentono bene, l'uno diviso dall'altro, ma non per forza puliti, con il ritornello che entra a dovere. E se finora non ho parlato di musica è perchè, in canzoni del genere, è difficile dividerla dalle parole. Detto questo, musicalmente I Cani sono cambiati tanto, sempre di pop lo-fi si tratta ma se prima avevano un suono solo, super impastato e distorto, qui si fa più limpido, con la voce pulita e in bella mostra, pure intonata, e tipi di arrangiamenti diversi, quasi uno diverso a pezzo. Certo, quelle quattro funzionano particolarmente bene.
Le altre rimanenti sono più deboli. Sono deboli musicalmente – tolto il finale di "FBYC" che ti si appiccica in testa a vita – e meno interessanti nei testi. O meglio, è come se capissi subito dove vogliano andare a parare e a quel punto hai poco da scoprire. Girano attorno al concetto di glamour facendo trasparire come le velleità, o in generale l'espressione artistica, possano darti un bel piedistallo dove ti guardano tutti (“Storia di un'artista”) ma le velleità non bastano per risolvere i tuoi problemi quotidiani (“Storia di un impiegato”) e per relazionarti con i tuoi amici, in più comportano il rischio - e di conseguenza il terrore costante - di fallire ("FBYC"). Ora, queste canzoni possono essere utili all'interno del disco perchè pur parlando di altro sottolineano certe paure di Lui, delineano e caricano di tensione il personaggio; poi si arriva all'ultima traccia (“Lexotan”) e boom, esplode l'effetto placebo. “Storia di un'artista”, “Storia di un impiegato” e “FBYC” non sono brutte ma alla lunga ti disaffezioni, ti sembrano poco rilevanti, ti viene quasi da chiederti perchè ti racconti davvero dei Fine Before You Came, come un ragazzo al tavolo dei grandi che a malapena ti ascolta, perso nei suoi pensieri mentre disegna costellazioni bucando con la forchetta il cartone della pizza. “San Lorenzo” è brutta, se non vi dispiace mi limito a scrivere che è brutta.
E' un album, a suo modo, piccolo. Sono consapevole che I Cani non potessero ritornare a scrivere del microcosmo hipster e continuare ad essere credibili. L'album prima era più grosso, più fantasioso, quasi giocoso e sicuramente più divertente. Questo approfondisce più un lato personale. Entrambe le cose sono importanti. Un passo vicino al dirupo andava fatto. Sapete, qualcuno una volta ha detto: quel vuoto che è in tutti noi, ci sbattiamo tanto per chiuderlo, ci proviamo e non ci riusciamo mai, allora tanto vale conviverci. “Glamour” sa essere toccante, quasi privato, con tutti i rischi che la cosa comporta. Non sono dieci bombe. I Cani potevano fare di meglio, peccato, ma hanno ribadito di essere tra “quelli nuovi” che scrivono bene in Italia e di avere un tipo di sguardo praticamente unico. Vedremo.
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La recensione Glamour di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-11-04 00:00:00
COMMENTI (7)
A me non piace molto questo album, non riesco ad ascoltarlo.
Mah...a me altro non pare sto disco che una copia-carbone dei Baustelle dei primi 2-3 album, che già non mi dicono un kaizer..figuriamoci gli epigoni!
stavo facendo troppe cose contemporaneamente, quello che volevo dire è: E tra le altre cose che mi piacciono, pur non avendone, per fortuna, esperienza diretta, credo che descriva in modo efficace e intelligente (e anche dolce) il panico e i suoi attacchi...
E tra le altre cose che mi piacciono, pur non avendone, per fortuna, solo esperienza indiretta, credo che descriva efficace e intelligente e dolce, il panico e i suoi attacchi (di)
Tra le cose che mi piacciano, a margine... il sentore di un certo Battiato nell'inizio di Corso Trieste e la citazione di Fiumani in Storia di un impiegato.
Secondo me come seconda prova non e' male... La prima metà dell'album va giu' liscia e prende bene. Nella seconda metà c'è Lexotan che chiosa il tutto, e per il resto molto di dimenticabile, ma se pensiamo al secondo di Brondi (per citare un soggetto con un eserdio che ha fatto parlare altrettanto), qui c'è qualcosa di piu', imho. E poi si', si poteva evitare la monotematicità e l'autoreferenzialità, ma sarebbe stato necessario pensare ad un album completamente diverso. Quindi in questo contesto è un male piccolo e a tratti anche piacevole.
Ma perché i cani sono musicisti ? Mha! Che tempo sprecato.