Alcune compilation sono un insieme confuso di elementi eterogenei, magari singolarmente apprezzabili ma nell'abbraccio disarmonici, altre hanno l'aspetto di una famiglia, forse allo stesso modo caotica e disordinata, ma legata da trame che anche un occhio attento può solo scorgere. E' una famiglia quella che provo a presentare, simbiosi di caratteri individuali e contrastanti.
I primi a mostrarsi sono The Finger.
Un tocco molle, un suono elettronico e cadenzato che sembra provenire da una porta socchiusa e che fuggevolmente sfiora la sacralità dell'incipit. Un passo avanti: i Verlaine.
Un fiato fanciullo e strumenti accarezzati, una "Canzone (Di marzo)" languida ed ingenua che fa venire voglia di adagiare lo sguardo su realtà immaginarie.
La "Ann" dei Bosvelt -una delle mie preferite- giunge per terza e racchiude in sè il significato dell'opera intera. E' lieve, "beatlesianamente" invadente, arriva subito e, senza pretenderlo, rimane, impalpabile, sulla pelle.
Nuova scena, John Mario and the dropstars; basta qualche secondo perché le pupille si abituino ad un ambiente geograficamente distante dal precedente. Sonorità folk trascinanti, un'atmosfera accogliente, armonica, chitarra acustica, chiasso in sottofondo e una voce duttile e densa.
Il titolo che segue mi ha conquistato a prima lettura e l'ascolto ha seguito, accondiscendente, la mia infatuazione iniziale. Gli ES, "La scena alternativa non mangia i dolci"....il resto è rock'n roll.
I passi che annunciano i Carpacho sono morbidi, come morbida è questa canzone semplice e breve, le cui parole disegnano parabole tra la plumbea nostalgia e l'ironico distacco e che forse meriterebbe di decantare in un posto buio e silenzioso per distendersi oltre il suo minuto e dodici.
Eliiene si muove intorno spargendo graffi di colore . "Yen" è un incastro, tanto preciso da rendere difficile distinguere ciò che è parola, intensa e delicata, da ciò che le fa da alcova, un suono incessante e martellante che spalanca lo sguardo.
Quella che arriva ora è dolcezza, è Wynona. Una armonia gentile, elegante come i volteggi di una ballerina e frasi appena pronunciate che hanno la forza di un sorriso generato da malinconia.
Un numero in più e si finisce da The Zen Circus. La prima riflessione ha avuto la forma di una domanda: ma quanti sono? Risolto il dubbio si è fatto avanti lo stupore: tre. Le loro fonti di ispirazione sono evidenti (Dopo averli ascoltati mi sono prescritta, per sedare una neonata voglia, abbondanti dosi di Violent Femmes e Pixies) ma non c'è niente che abbia le sembianze del volgare rimaneggiamento. Talento e freschezza.
Viene "Inverno". Ruvido sghembo e nebbioso. La musica dei Lush Rimbaud sembra nascere da una melodia compiuta andata in frantumi, piccole schegge rumorose e irregolari accanto a frammenti levigati e laccati.
"Hannover" di Goodmorningboy è il capitolo successivo e si presta poco ad una definizione stretta in poche lettere. Quasi senza meditazione le ho subito affiancato il cantautorato americano, Neil Young, è stato il primo nome, ma l'amalgama è più complessa, calda e piena di questo banale paragone.
Per scrivere la parola FINE occorrono la stessa mosse leggere che hanno aperto l'uscio. I Notbremse in poco più di un minuto di trastulli sonori, che sanno di pomeriggi di sole e di giochi nel parco, ti prendono per mano e ti accompagnano all'uscita con grazia.
La storia si conclude, una fiaba narrata senza pretese che inneva i pensieri.
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La recensione Tiny Tunes Vol. II di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-03-07 00:00:00
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