Soltanto due parole: la forza, e la bellezza. Primascelta
Esiste un modo, ancora, per prendersi un momento e sentirsi vivo, più vivo, oltre il flusso quotidiano di piccole ferite agli altri invisibili, oltre l’estenuante organizzazione di fragilissimi impegni, i rapporti come giacche dai gomiti consumati che non scaldano come una volta, le ore che passano affamate di futuro, e lo mangiano, lo divorano avidamente, e tu lì a cercare quel momento tra la candida amarezza e i piani incompiuti. Quel momento è ora, è questo disco, e appena parte riesci a sentire il sangue, i sensi, il cuore, la voglia e i desideri, e il primo gesto istintivo che produce è quello di prendere a pugni un mattino qualunque e trasformarlo nella tua rivincita, perché la forza e la bellezza sono gli stimoli che cercavi, la forza e la bellezza, nella loro accezione assoluta eppure così personale. E così di fronte a te s’alternano tornado e tele d’autore, tigri e farfalle, la polvere e lo scintillio, e tanti, innumerevoli frammenti di memoria ritagliati a mano, in bianco e nero come pure in blu e porpora, e tu in primo piano abbracciato ai sogni: la forza e la bellezza, la guerra e l’amore.
Parlare di post punk diventa un punto di partenza, un’idea da colorare con mille sfumature, perché c’è nei Soviet Soviet un’attitudine assai chiara, una sorta di marchio che li rende inconfondibili e necessari, ciò che si chiama sound, ed è sempre stato così: questo è il loro primo album, ma ci arrivano dopo anni di demo, ep, split e date in tutto il mondo (le ultime insieme agli A Place To Bury Strangers e ai P.I.L.), e se la maturità ha davvero un significato, allora è questo, se crescere porta con sé la meraviglia dell’esperienza e il gusto affinato dalla vita stessa, allora è qui. Godiamocelo questo lavoro, lasciamoci sopraffare da “Ecstasy” che ti coglie impreparato nel portare il tempo, con la batteria inarrestabile che in ogni pezzo ti prende in giro, ti sfida e tu non ce la fai, e la doccia gelata di dark e inquietudine di “1990”, la chitarra montante come schiuma morbida e tu che affondi in “Introspective Trip”, e potresti anche piangere alla fine, giuro che è così.
Piove grandine dal basso di “Gone Fast” dove si appoggiano poi dolcezze inattese di new wave da grandi speranze, baci rubati mentre guardavi il tuo mondo imperfetto da spettatore qualunque dietro i vetri opachi, e colpi e onde e sguardi nuovi ti ingoiano e disegnano orizzonti distanti che ti sembra di poter afferrare in “No Lesson”, tutto è così profondo, è elettricità, movimento, nessuna paura e con queste scarpe puoi andare lontano, ovunque, tenendoti stretto la tua parte migliore. “Together” e i suoi contrasti scuri e il ghiaccio che senti scivolare lungo la schiena, e non puoi farci nulla se non assecondare il freddo e i respiri più lenti e sincopati, l’esatta espressione algebrica del tuo umore nel buio, e quanta aria nei polmoni quando parte “Something You Can’t Forget”, quell’aria di fine autunno che percepisci nel naso in ogni molecola, che ti sveglia e al tempo ti lascia immobile sulla porta per un momento, per sentirti vivo, più vivo, anche se è solo per quell’istante.
In uscita per l’etichetta americana Felte, con diverse anteprime sui maggiori siti specializzati internazionali e lo streaming esclusivo dell’intero lavoro qui su Rockit, “F A T E” si appresta a sbarcare oltreoceano per un minitour di presentazione e si prepara a vestire abiti luccicanti degni di un disco che va dritto nella top album di quest’anno: è una gioia poter affermare che esistono ancora gruppi in grado di regalarci, oltre il flusso quotidiano, i fragilissimi impegni e le ore che passano, vividi momenti di forza e di bellezza.
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La recensione F A T E di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-11-11 00:00:00
COMMENTI (3)
Grandi ,grande scoperta le ritmiche ricordano i primi Killing joke, viva la new wave!
se gli facciamo il test del dna esce che son figli ai virgin prunes
biello.