Fra hard-rock e tendenze post-punk, un disco d'esordio che staziona sulla sufficienza.
Spesso il primo disco rappresenta il prodotto più controverso, rinnegato e discusso una volta fatto il grande salto, quando le band diventano grandi e si vendono parecchie copie. Call me Platypus mette le mani avanti e, se del domani non v'è certezza, il presente si chiama “Shame on Call me Platypus”; con un titolo tutt'altro che carico di speranze, ci apprestiamo ad ascoltare i 20 minuti che compongono l'opera prima della band modenese.
“Indians”, la traccia che introduce l'EP, è ammiccante, un po' Rolling Stones un po' hard-rock, mentre “Conduit Engine” trasuda malinconico post-punk dai riff introduttivi. Variazione sul tema con “Sonic samba”, spartiacque dell'album che si chiude con l'immancabile semi-ballad, canonica presenza di repertorio che in questo caso è “Neomelodic goes intergalactica”. Nel primo disco di CMP c'è un po' di tutto, nelle giuste dosi: il minestrone conosciuto come indie-rock è sviscerato con cura per dare il giusto valore alle sue componenti artistiche più valide; i 5 pezzi oscillano sempre fra una tendenza cruda ed un mood sostanzialmente cupo ed immalinconito. Non che sia un ascolto mediocre, ma si ritorna al discorso di cui sopra: è un primo tentativo, un punto di partenza verso una direzione artistica da perfezionare e rendere quanto più personale possibile. Guardiamo avanti.
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La recensione Shame on Call Me Platypus di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-02-19 00:00:00
COMMENTI (2)
anche se ancora faccio fatica a capire come "neomelodic goes intergalactica" possa essere considerata una "ballad"; oh magari farà anche schifo eh, ma una "ballad" proprio non è (o magari io non ho ben in mente il concetto)
mi aspettavo ben di peggio...tutto sommato, bella lì