Non sempre da una copertina di un cd si può intuire il contenuto: una bottiglia di whiskey assieme ad un bicchiere riempito a metà e, sullo sfondo, una band intenta a suonare.. Non è musica alcolica - a patto che musica del genere esista davvero - quella che propongono Stevie & The Funky Tree, nel senso che non è necessario tirare fuori paragoni con i forti bevitori (termine elegante per evitarne altri ben più pesanti…) che hanno riempito, e continuano a riempire, la cronaca del variegato universo del rock.
Il terzetto milanese affonda le sue radici in un rock-blues piuttosto accademico, ma non per questo scadente o poco interessante. Suono pulito, dominato dalla vena del chitarrista Stefano Arcangeli, più che mai devoto all’estetica di Steve Ray Vaughan, ma, comunque sia, bravo e fantasioso. Dal punto di vista vocale, i risultati sono diversi: la voce del buon Stevie è ancora troppo acerba, anche se in fondo i risultati non sono certo disastrosi. Base ritmica assecondata dal batterista Giuseppe Carrara e dal bassista Stefano Penolazzi, ben più di due semplici spalle.
Il disco convince e merita di essere ascoltato, soprattutto perché sorprende il fatto che la band non abbia fatto ricorso a cover, ma si sia affidata a 14 pezzi originali, e che la registrazione del disco sia avvenuta in sole due settimane - non si direbbe, visti i buoni risultati raggiunti. Certo, il suono del progetto non è particolarmente innovativo, ma i ragazzi sono molto tecnici e dimostrano di sapersi muovere bene attorno alla formula del rock-blues. Attorno al quale vira l’intero disco, se si eccettuano un paio di divagazioni: una che va a parare, ma senza esagerare, dalle parti di un sound più funky (“The funky sound of blues”), e l’altra (“The strangest taste”) che, inaspettatamente, bussa alle porte del pop. Due strappi alla regola che forniscono al cd un aspetto meno ortodosso di quel che si potrebbe pensare.
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La recensione Do your thing di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-03-11 00:00:00
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