Con questo “Pane e rose”, i musicisti della Casa del Vento aggiungono il secondo vero album alla loro discografia dopo “Senza bandiera” edito nel 2000. E’ un segno che a prima vista potrebbe dare l’impressione di estrema ‘pigrizia’ da parte di Luca Lanzi e soci, considerando il fatto che la band è attiva sin dal 1991. Ma questa pigrizia è giustificata dalla lunga serie di date live fatte dalla band, soprattutto in sostegno di realtà sociali che necessitano di una voce.
Il combat-folk è il termine che si addice di più ai Nostri, siccome che i loro testi viaggiano su un unico canale: quello della denuncia e della lotta. Già dal titolo dell’album esprimono la loro direzione: è stato ispirato sì dal film di Ken Loach, ma anche dal movimento americano che reclamava il diritto ad una certa dignità (il pane) senza dimenticare la dolcezza (le rose). Così, visto in chiave Casa del Vento, musica e parole si fanno in certi tratti più dure (e si collegano al ‘pane’ ed alla voglia di una vita dignitosa) ed in altri, più delicate e riflessive (le rose, la malinconia, i sentimenti). Se vogliamo fare paragoni, quello più vicino a loro si chiama Modena City Ramblers, - inevitabilmente - anche se la Casa del Vento è anagraficamente più vecchia del combo emiliano. Con loro hanno in comune la tradizione irlandese, i testi orientati al sociale, alle lotte, al proletariato, ai diritti dei più deboli. E poi Cisco, il trait-d’union, che ha registrato un disco con la formazione e partecipato al tour successivo. Oggi la Casa del Vento cerca di discostarsi da questo paragone, un processo arduo proprio per il fatto che i M.C.R. già nel 1994 ebbero un considerevole successo con il disco d’esordio (cosa che è mancata alla Casa sin dai primi anni).
In “Pane e rose” i messaggi di denuncia sono chiarissimi, forse troppo. Sinceramente trovo più efficaci i testi tipo quello della canzone “Pane e rose”, dove le parole costringono a riflettere ed a scavare nel significato, piuttosto che andare dritto al segno. In questi casi la Casa punta maggiormente al cuore, piuttosto che alla mente. E rende di più. Così come in “Treno per Galway”, dove il viaggio è saggiamente accompagnato da parole malinconiche, piene di emozioni. Una scrittura che però i nostri preferiscono quando è diretta, quando si citano chiaramente nomi e cognomi (subcomandante Marcos, Emiliano Zapata) o quando si lasciano intendere senza fraintendimenti (indovinate chi è il personaggio di “Alla corte del re?”).
Musicalmente parlando il disco è molto vario: dal folk irlandese, alternato tra veloci danze e tenere ballate, ai suoni medio-orientaleggianti, fino agli echi centro-sudamericani, tutto comunque permeato di innesti etnici e rock. Non esistono muri, insomma, non è nelle intenzioni della Casa. Inevitabilmente non poteva mancare la polemica sulla globalizzazione e sui fatti di Genova del luglio 2001: “Genova chiama”, assieme a “La canzone di Carlo”, sono ormai due canzoni-simbolo di quei giorni burrascosi, che tutti i no-global italiani hanno fatto proprie, come dei veri inni. La Casa del Vento ha scelto da che parte stare, da sempre, e di questa appartenenza ne ha fatto la propria bandiera. Si scontreranno contro mille muri, ma proseguiranno la loro strada. Se in questo disco cercate solo la musica, cambiate aria, perché i testi sono in primo piano, fanno pendere l’ago della bilancia su di loro, e la musica ne rappresenta la colonna sonora. E’ un risultato scontato, quando si fanno certe scelte. Il fascino della melodia e della musica riesce a prevalere soltanto nelle ballate (“Pane e rose”, “Treno per Galway”) e nell’ottima “Il vento dell’odio”. Per il resto, le parole rimangono, la musica vola via…
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La recensione Pane e rose di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-03-12 00:00:00
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