Che peccato esternare un talento così limpido scegliendo le parole sbagliate, arrivando a deturpare un disco meraviglioso rovesciandogli addosso un mucchio di vocaboli fasulli. Nient'altro che questo basterebbe per amare fino all'odio Jonh Mario and the dropstars, potenzialmente una delle migliori proposte recapitate dal mio ostinato postino da molto tempo a questa parte.
Un disco che profuma di America del Nord, una terra sterminata e imperturbabile che sembra accogliere a braccia aperte il flessuoso ciondolio di questo folk delizioso e romantico, che si ubriaca di whisky e rock cantautorale, di vino rosso e solfeggi pop. Tredici brani a ruota libera, che partono per il gusto di farlo, senza dover necessariamente arrivare a destinazione alcuna, lasciandosi alle spalle albe e tramonti.
Una comitiva chiassosa e malinconica, composta da tre ragazzi che viaggiano alla deriva di una musica struggente ed ironica, trastullandosi con improvvisazioni chitarristiche attorno ad un disordinato falò notturno, usando bicchieri incrinati e pentole di rame come strumenti ritmici, tra sorrisi, coretti svogliati, brindisi, ballate d'altri tempi, armoniche a bocca, ricordi adolescenziali e riflessioni estemporanee sulle radici del bluegrass.
Una musica spontanea, che produce armonie accoglienti, costruite su arrangiamenti deliziosi, che tendono a rallentare su trame soffici, ma capaci di trovare inaspettati sbocchi di intensità.
In un mare di espressività, l'inglese, quell'inglese, quello dei vocaboli, cerca di trovare un proprio respiro autonomo, ma non riesce a fare altro che imitare una linguistica che non gli appartiene, arrampicandosi faticosamente su una voce sinuosamente nostalgica e flessibile, ma che da sola non riesce a sorreggere le parole. Un vuoto che disperde ingiustamente i risultati di uno sforzo creativo sempre ispirato, lasciando l'insopportabile sensazione di trovarsi di fronte ad un capolavoro gettato via.
Partire di nuovo, senza scordarsi da dove vengono, non chiedo altro ai John Mario and the dropstars. Con tutta questa musica in dote, e' un dovere.
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La recensione Les Moods di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-03-12 00:00:00
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