Da Milano arriva un manipolo di talentuosi elettro-smanettoni sedotti dal richiamo carnale del rock: tanto poco coraggiosi quanto capaci apprendisti
“Ogni stecca ripetuta due volte è l'inizio di un arrangiamento”. Ecco, citare il buon Frank Zappa per presentarsi al pubblico mi sa tanto di astuta mandrakata per mettere le mani avanti e pararsi simpaticamente il culo. E comunque, a fine giro di giostra, dopo l’ascolto di questo “Spacemaker”, ti accorgi di quanto in realtà non ce ne sarebbe stato neanche il bisogno visto che gli Psychophonic Nurse tutto sembrano tranne che spregiudicati rivoluzionari del “fare musica”, né tantomeno eclettici giullari della trasversalità. Niente di tutto ciò, per buona pace del mitico Frank. The Psychophonic Nurse altro non sono che talentuosi smanettoni di sintetizzatori, e altre diavolerie elettroniche, sedotti dal richiamo carnale del rock, come del resto è successo a tanti altri in passato.
Già, ma siccome la band milanese ha una fottutissima paura di volare ha visto bene di scegliersi gli istruttori di volo più quotati sulla piazza, giusto per scongiurare il seppur minimo rischio di caduta, affidandosi per le detonazioni più aggressive agli immancabili NIN (“Transpolitix”) – onnipresenti padrini per chi si avventura in questo tipo di territori musicali – al maestro David Sylvian per i frangenti più ricercati (“Greed”, “GBO”, “Beyond the city”) e ai Depeche Mode più torbidi per le piacionerie da dark room. (“Artillery”). Leggermente fuori dal coro “A beautiful place”, dove la bella voce di Miriam Cossar ci riporta a certe sofisticatezze new age dell’ultima Kate Bush, la vibrante “Rebellion”, che tocca le corvine corde metalliche dei Lacuna Coil, e la fumosa polaroid synth-cantautoriale di “Lame”.
Un debutto figlio di cotanti padri (e madri) alla fine non poteva sfigurare più di tanto. Promossi ma…
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La recensione Spacemaker di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-02-25 00:00:00
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