Immagina un quartiere un po' malfamato, magari di periferia, con localacci sempre aperti e gente brutta fuori dai pub. Quale sarebbe la colonna sonora ideale per uno scenario simile? "Death Blues" potrebbe essere una buona risposta. Inviti mortali ("Feel the death", "Death blues"), amori un po' così ("Damaged love", "Love is a jail"), follia criminale ("Insanity"), domande esistenziali ("Have you found yourself"), città avvelenate e perdute, da fumetto o da grande schermo ("Sin City"). Ci sono tutti gli elementi di un romanzo rock-noir, di un racconto alla "Altri libertini" di Tondelli o di un film alla "Coffe and Cigarettes" di Jarmusch. Rock blues, da suonare in garage o in prigione, oscuro, nero, tetro, cattivo, tutto buio e ombre. Ritornelli ossessivi, voce tagliente e graffiata, da sigaretta appena fumata, suoni ferrosi volutamente grezzi e tanta chitarra elettrica distorta, con basso e batteria. Un album senza troppi difetti perché semplicemente non vuole la perfezione, anzi predilige note sporche. Un disco che fa venire voglia di bere agli astemi e di tabacco ai non fumatori. Al ritorno guidate con prudenza.
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