“Music is math” sentenziavano poco tempo fa i bravi Boards Of Canada (magari ascoltatevela lontano da tutto e da tutti, se avete tempo e voglia). Il bravo Andrea De Nittis, già cofondatore dei Ratafiamm, sembra averli presi in parola nella stesura della sua seconda prova solista dopo l’ottimo “Workout Of The Day”, peraltro ben recensito su queste stesse pagine tempo addietro.
Il suo “Zebra” merita infatti più di un inchino per la rara capacità di assemblaggio geometrico di umorali visioni elettroniche che, partendo da una parziale rottura degli schemi elettro-cantautoriali tanto cari al buon Luca Urbani, si avventurano dentro ben più impegnativi deserti cosmici di scuola tedesca e nebulose psichedeliche per nulla lontane dalle schizofrenie atonali del glitch di Apparat e Matmos.
Egregiamente ripiegato dentro convulsioni sintetiche e pulsazioni robotiche il suo è un cibernetico cantautorato dal sangue ghiacciato, una cronaca transistorizzata della nostra contemporaneità ispirata dalla brezza siderale di una schiacciante solitudine.
E se quella molecola di romanticismo che rimane viva tra le lamiere si aggrappa ai riverberi di piano di “Sottomarini” tutto il resto trasuda futuristico disagio e cosmica inquietudine (già, il Leopardi) come stanno a testimoniare i cortocircuiti elettronici de “Lo straniero”, le fluttuazioni amniotiche di “Primo ricordo”, i deliranti campionamenti de “L’utente” – che il Charlie Chaplin di “Tempi Moderni” avrebbe sicuramente gradito – e la cangiante cartolina lunare di “Terzo paesaggio” composta dai Santo Barbaro, con i quali le affinità elettive del Nostro sono a dir poco disarmanti.
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