C’è un tormentoso fiume che scorre fra due sponde diametralmente opposte l’una dall’altra. Nella prima vi abitano i riottosi denigratori degli Yuppie Flu; la seconda, invece, è popolata dai loro ortodossi estimatori. Come un copione ben redatto avrebbe tranquillamente potuto immaginare, la nuova produzione della band anconetana - paracadutata sulla terra ancora una volta dall’interessante microcosmo Homesleep - ha fatto sì che la congiuntura internazionale si facesse ancora più grigia di quanto già non lo fosse (il che, potrete immaginare, risulta un bel problema). Nessuna mediazione fra bianco e nero, dunque, come se il grigio fosse un colore mai esistito.
Esiste però un fiume tormentoso che scorre in mezzo fra chi urla al capolavoro assoluto e chi invece denuncia la ciofeca più clamorosa dell’anno. È proprio nel suo letto, forse, che “Days before the day” trova il suo posto più giusto, slegato da qualsiasi preconcetto e da qualsiasi simpatia e/o antipatia genetiche.
Che i quattro anni passati da “Yuppie Flu at the zoo”, l’ultimo album completo, siano stati anni di gavetta ed esponenziale crescita - gli anni, tra l’altro, del bellissimo “The Boat EP”, degli split con Tarwater, Three Pieces e G.D.M., delle numerosi apparizioni in compilation e dei tanti concerti su e giù per l’Europa - lo può dimostrare con una certa determinazione questo “Days before the day”. A partire dalla bellissima “Drained by diamonds” - posta non a caso in apertura come manifesto di indie-pop-rock dalle soffici tinte elettroniche - l’album crea un percorso sonoro verso il quale è difficile rimanere indifferenti: gli Yuppie Flu abbandonano con naturalezza l’ombra dei Pavement e decidono di intraprendere percorsi musicali parzialmente mutati rispetto alla loro precedente inclinazione. Succede così che i soffusi colori folk/lo-fi si tingano di sfumature indie-troniche dipinte da synth, moog e mellotron, accompagnate dall’efficace intreccio di batterie elettroniche ed acustiche e dirette dal carillon naif della voce di Matteo Agostinelli. Il che, seppur sull’esempio di band come Notwist, Grandaddy e Hood, significa apertura di nuovi (in)contaminati orizzonti.
Non c’è rivoluzione e non c’è il capolavoro in “Days before the day”, ma ci sono sensazioni forti e tenui che nascono dall’incedere lento di “Dreamed frontier” (con Francesco alla voce); c’è l’accattivante divertimento di “Eyes of dazzling bright” e di “Food for the ants”; c’è la melanconica orchestralità indietronica di “Silverdeer” e la crepuscolare profondità dello struggente pianoforte di “Now and on”. Ci sono insomma dieci canzoni raffinate, eleganti e mai ammiccanti, canzoni che suonano ormai pienamente Yuppie Flu.
“Days before the day” sorride melanconicamente e trova la sua più naturale luce nell’alba e nel tramonto, e anche se non rivoluzionerà la stagione, neppure morrà con il suo passare: questo è semplicemente un bellissimo album che vive di vita propria, di una propria personalità cresciuta anche con gli ascolti, ma ormai divenuta pressoché autonoma.
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