Un disco bello ma anche un po' strafottente
Tra tutti i lavori di Those Lone Vamps, “How To Become Invisible” è il più ostico, polveroso, oscuro. Non che l’easy listening sia il tratto distintivo dei dischi precedenti del titolare del progetto, Bruno Clocchiatti-Oakey. Ma di sicuro a questo giro porta agli estremi il suo minimale discorso folk. Quasi un’ora di chitarre acustiche, rumori assortiti, bassissima fedeltà e grandi canzoni blues. “Nerves” è un crescendo di mormorii e dissonanze disturbanti. “Kodac Attics” è un brano dai toni dimessi e nichilisti. Forse uno dei meno intransigenti - e dunque più orecchiabili - dell’intera raccolta. “Grygorewski Furniture” è un recitato scandito da pochi tasti di pianoforte.
“How To Become Invisible” è un disco bello, non c’è dubbio. Ma è anche un album un po’ strafottente. Nel senso che Those Lone Vamps sembra quasi voler provocare l’ascoltatore fino allo sfinimento. Cinquanta minuti di canzoni voce e chitarra è una sfida che se non sei Sun Kil Moon rischi di perdere. Se non altro perché trovi con più difficoltà gente disposta a stare al tuo gioco. Va bene la coerenza artistica, ma il dono della sintesi è un valore a volte sottovalutato. Mettiamola così: se fosse durato la metà, “How To Become Invisible” sarebbe stato un capolavoro.
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La recensione How To Become Invisible di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-05-13 00:00:00
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