Color rosso rubino, nel freddo di campagne a nord dell’anima, tra passi animali e antiche leggende. Da qui nascono i Lecrevisse, tra la natura intatta e gli spartiti classici di una musica subito trasformata in sensazioni forti e vagheggianti.
Cinque elementi della provincia veronese, esperienza alle spalle con un disco autoprodotto ed un cambio di line-up che li ha portati alla corte della volenterosa novità chiamata Jestrai. “(due.)” è stato assistito da Fabio Magistrali, un nome che richiama la crema del sound italiano di qualità (Afterhours, Karma, Ritmo Tribale) che ha lavorato in maniera impeccabile, nel rendere la creatura coacervo di influenze che partono dalla splendida decade sessantiana. Melodie trasversali che tagliano il cuore senza aver bisogno di chiedere permesso alla mente, una piccola orchestra di sperimentazione sonora, che trova nell’uso del violino, dei sintetizzatori, di xilofoni e theremin, le fondamenta della riuscita perfetta di “(due.)”. Paesaggi strumentali, lande di silenzio e brividi, fanno da ideale trait d’union con la percezione di momenti altissimi, come il post-rock di “Origami” che si trasforma in un’enfatica presentazione del mondo Lecrevisse, dopo un volo già iniziato con “Fleurette” e “D.n.i.g.” (vicino all’idea musicale dell’Agnelli compositore ambizioso).
Un flusso di passione lisergica, nel quale veniamo trasportati inermi come in una spirale senza uscita, troppo diluito forse il percorso, ma la suite “Ngc 287” spazza via le ombre e conferma la perizia tecnica in un anthem psichedelico d’altri tempi. C’è tempo anche per uno strumentale jazzy-blues da night club fumoso (“Divertissement”), dimensione estraniante e assolutamente dotata di gran fascino, prima della conclusione affidata alla rielaborazione di “Com’è profondo il mare” di Lucio Dalla.
Laggiù in mezzo a nebbie e rovi, proprio laggiù scorgerete un raggio di sole, a tagliare il rosso vivo dei Lecrevisse.
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