Digi-dub: compitini a casa per aspiranti producer.
È da tempo ormai che non c'è dubbio che gli italiani lo facciano bene (occhio alla differenza fra 'do' e 'make' nell'inglese bimbi). E cioè il dub giamaicano nelle sue varie accezioni reggae, dig-dub, eccetera. La scrittura è spesso solida, i suoni sono proprio quelli e si ascoltano bene come conviene ad un genere che ha fatto, primus inter pares, dello studio di registrazione uno strumento di scrittura e composizione al pari di batteria, basso, fiati e via dicendo. In questo discorso rientra l'umbro Raster e questa è la prima parte del giudizio positivo su questo “The Dub Club” che, come da promessa del titolo, offre versioni originali e rimaneggiate di sei brani del nostro.
Le papille gustative delle mie orecchie vi invitano però ad andare dritti alla seconda parte dove il buon Vlastur fa quello che si faceva una volta e si fa ancora nel mondo reggae (se volete un esempio più pop vi dico Mad Professor vs Massive Attack, cioè storia): si prende l'originale, si toglie il vocal lasciando le giuste citazioni e se ne fa una dub che più dub non si può fra echi, delay, aggiunta di suoni, giri e strumenti, sino a creare version autonome. Più che un remix ma diverso da una cover, e il succitato Vlastur ve ne darà una solida dimostrazione per i vostri compiti a casa.
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La recensione The Dub Club di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-03-20 00:00:00
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