Provo a cercare informazioni su Amorth ma, come è ovvio che sia, escono fuori soltanto pagine su esorcismi, se aggiungo ‘musica’ ecco le dichiarazioni sul satanismo metal, sulla maledizione del rock, su varie simili amenità. Tutto questo mentre ascolto il disco e ammetto che la situazione che viene a crearsi è perfetta: “Tales from the Null Space” è la colonna sonora ideale per suggestioni macabre, per quelle piogge interminabili che nascondono qualcosa, è l’elettronica dal profilo gotico e con lo sguardo basso e disperante. Un album strumentale fortemente evocativo e col suo peso, derivativo quanto basta per risultare fuori dal tempo, magico nella sua capacità di ritagliare uno spazio tetro e definito all’interno del giorno.
Lo-fi nei suoni ruvidi e mai netti, nella drum machine secca, negli effetti che si intrecciano con disordine, queste dieci tracce tendono alfine alla distruzione, alla celebrazione del nulla, all’angoscia più pura: inevitabile un cedimento nell’ascoltarle tutte, lo ammetto, come pure una certa confusione dettata dall’uso piuttosto casuale di certi accostamenti sonori (gli acuti deliri sintetici in “Seen it All” sono francamente fastidiosi). Disco che si presta a delineare scenari notturni, a far da sfondo a fotogrammi cinematografici, col suo umore nero che non scema mai, ma che non va aldilà di un esperimento electrodark riuscito in parte, troppo carico e soffocato dai cliché (come quel sostituire ciascuna ‘t’ con una croce): per appassionati, è d’obbligo l’abito scuro.
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