Voodoo Blues e chitarre taglienti. Per una volta la lezione del "Less is more" applicata come si deve
Interessante ibrido musicale questo disco di Mr. Wob and the Canes, tra folk blues di nodosa radice nera americana e ritmi africani plasmati ad hoc. Voodoo Blues quindi, un suono che non appena si esala dagli strumenti diventa subito luce calda e aura magica avvolgente, è fortemente carica di spiritualità ogni canzone, la povertà del suono ed i momenti di silenzio sono parte integrante delle sonorità e fanno da fondamenta nella composizione dei brani.
"Black Wings Blues" rappresenta in toto l'album: il letto di chitarra acustica culla lentamente, mentre un coro di voci in lontananza puntella il silenzio come a mantenerlo in vita per tutto il brano, lo ancora all'orecchio fino alla fine mentre la voce pastosa di Mr. Wob taglia l'aria e invia il messaggio: "When I see no future, my black wings are closed" caricando un peso grosso come un macigno sulle spalle di chi ascolta, ma è un flagello crudo che arricchisce, fortifica e rende sublime il momento di risurrezione delle canzoni successive. C'è mistero in questi suoni, nonostante siano scarni e puliti ascoltando si avverte quasi un senso di paura, ci si guarda le spalle e al minimo rumore fuori posto si prega che non ci sia l'uomo nero pronto a frugare tra i pensieri in testa.
Non solo il silenzio caratterizza questo bell'album, anche banjo e armonica meritano menzione particolare nei brani "I see her tonight" e "I feel like I'm dying", veri e propri manifesti western folk, spuntano canyon e distese polverose, cactus e palle di sterpi rotolanti, classicità di genere ben suonata e non banale. Ben Harper nelle sue più scarne interpretazioni, Johnny Cash e una punta di Soulsavers costituiscono la spina dorsale da cui si diramano le costole sonore di questo disco, la sperimentazione non si palesa, ma bastino le atmosfere nero petrolio e quella sensazione di mancanza e desolazione tangibile, a rendere potente ed evocativo il tutto.
Mr. Wob and the Canes te li immagini fuori dal mondo e dalla velocità degli eventi che caratterizzano questi anni '10, eppure la basicità delle trame musicali risulta molto più moderna di tanti arrangiamenti barocchi montati su incapacità di stile, adottare un genere come il roots-blues e farlo diventare un'arma stimolante e creativa con cui lasciare di stucco il pubblico. Semplicità per stupire, usare il poco per fare il tanto, "less is more" come per il design minimalista vale in questo caso da principale cifra stilistica, ed è vincente.
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La recensione Invitation to the Gathering di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-04-11 00:00:00
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