Quando prima dell’ascolto, scorrendo rapidamente la playlist, ti ritrovi tra i titoli, come per magia, “A forest” dei Cure, intuisci fin da subito come potrebbe andare a finire la faccenda. Quasi ti preoccupi. Ma, a fine ascolto, con tuo sommo stupore, non avrai che da rallegrarti per il fatto che non sia andata a finire a tarallucci e vino, come sempre più spesso accade, del resto, all’interno dell’imperante filone del revivalismo new-wave, quello tricolore in primis.
Dopo il rituale EP d’ambientamento (datato 2012) arriva dunque anche per i torinesi We Are Waves il tanto agognato album d’esordio che, pur cibandosi massivamente, come molti altri recentemente in Italia, dell’ormai abusatissima crepuscolarità anglosassone figlia degli ’80s più plumbei, riesce al contempo nell’eroica impresa di rinfrescare la sceneggiatura con ben più attuali rifiniture elettroniche e una misurata radiofonia di fondo. “Labile”, in tutta franchezza, non sfigurerebbe affatto al cospetto delle ultime, in vero più deludenti, produzioni di Editors e White Lies grazie a quel suo ben ponderato equilibrio di decadente romanticismo lirico, malinconia da Top 10, cromature sintetiche di scuola scandinava e tanto, tanto, pop notturno diventato farfalla da una crisalide darkwave.
Se dunque desideravate da tempo la giusta colonna sonora per accompagnare i vostri tormenti esistenziali - magari passeggiando di notte tra le pozzanghere nerastre di Manchester, Birmingham o Londra - ecco il disco che farà al caso vostro: “Road to you” e “Rotten galaxy” incarnano i singoli che Harry McVeigh & Soci vorrebbero aver pronti nel freezer, “Emptiness behind the walls” è la hit oscura che gli Editors non hanno ancora scritto, “Raquin’s violent vein” vi stuzzicherà col suo oculato citazionismo, la breve dilatazione cosmic-rock di “If you were me, you would have gone elsewhere” vi servirà sopra un piatto d’argento la cover apocalittica di “A forest”, “Whanever I’m alone” foraggerà di decibel le vostre tensioni umorali e se “Here” vi delizierà le orecchie con i suoi campionamenti trasversali “Blue lies”, infine, sazierà i vostri appetiti danzerecci a colpi di future-pop.
È vero, in fondo è soltanto una boccata d’ossigeno nuovo per vecchi polmoni stanchi, ma tanto basta per ricominciare ad apprezzare un po’ di quella salutare oscurità che ti riempie il cuore.
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