Che abbia scelto un nome un po' così così, probabilmente lo sa anche lui, Michele Bombatomica. Ma questo è uno dei casi in cui veramente sarebbe sbagliato fermarsi lì, anzi a un certo punto davvero chissenefrega, del nome che ti sei scelto. Perchè qui abbiamo un artista che, partito nel 2005 con "pezzi suonati male e registrati peggio" (ipse dixit), è arrivato al terzo album con una sua poetica e un suo suono, coadiuvato in questo frangente dal prezioso lavoro di Mojomatt Bordin dietro al mixer.
Il nostro Michele, dunque, lasciati momentaneamente da parte i tempi veloci e il country punk del bel "The crooked debut of", si presenta qui in veste più scura, affiancato dalla Dirty Orchestra, una sua specie di Weddings (poco) & Funerals (molto) Band che più che dalle parti di Bregovic (anche se ci si passa fugacemente in "Pissing in the wind") lo porta in zona Tom Waits, precisamente via "Swordfishtrombones" angolo "Franks Wild Years" ("Ramblin' man", "Moon"): e si sa che non è esattamente noto per essere uno dei quartieri più solari del circondario ("Hurts").
È sicuramente l'avventurarsi in queste zone oscure, senza neanche troppa circospezione, tra bordelli in odore di macumba ("Little girl") e localacci da due soldi dove ti allungano il whisky con l'antigelo ("Dirty stomp"), a dare il colore a questo disco. Sono queste tinte fosche, grottesche, che ciondolano e incespicano e si mostrano capaci di correre solo quando passano gli sbirri ("Things"), e come nei libri di Bukowski riescono a trovare quelle poche righe di poesia che ti danno il senso di tutte le bravate, vere o presunte, attraverso cui si passa.
È il caso di "Burning", con un'armonica meravigliosamente Neil Young e un cantato ad alta gradazione che renderebbe orgoglioso Willy DeVille; o di "Will you love me", in cui il duetto con Francesca Amati dei Comaneci tanto ricorda quelli dell'ancor giovane Shane MacGowan con la magnifica e disgraziata Kirsty MacColl. Ovvero tutto tranne che pizza e fichi, dal punto di vista dell'interpretazione, ma anche della profondità, della capacità di parlare al cuore, oltre che alla pancia e alle gambe.
Una cosa rara, di questi tempi, ed anche il principale motivo per cui vale la pena di ascoltare questo - davvero ottimo - disco. Poi continuate pure a fare le battutine sul nome Michele Bombatomica, sentendovi originali perché citate il pezzo di Elio. L'importante è che scoprite quanto prima 'sto ragazzo, cominciando da "Doomed... out of tune" e andando a ritroso ai due precedenti. C'è caso che "Poverino Giangi" non sia più la prima cosa che vi verrà in mente quando qualcuno pronuncerà "Bombatomica".
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