Le voci che ti risuonano dentro, nella testa, sono spesso fastidiose, irritanti, di quelle che vorresti mettere a tacere all’istante, ché la tua coscienza è troppo spesso saccente. Altre volte invece queste voci si fanno delicate, pure, magiche, come quella dei Dear Baby Deer e del loro morbido shoegaze.
“Say goodbye, it’s 1969” sono sette minuti di pura armonia, suond dolce e affascinante, liriche eteree che seducono, un mix fra la grazia dei The XX e il garbo dei Mazzy Star. Con “Drown” è come fare l’amore al buio, seguendo i tratti della tua pelle con le mie dita, sussurri che si spandono su una struttura musicale circolare con accenni noisy in qua e in là e attraenti backvocals maschili, mentre in “Go round” sono sotto una pioggia cristallina di suoni che batte leggera di coloriture indie rock. “Motion Sickness”, con i suoi suoni distorti ed energici, ricorda le Haim e le loro coloriture glam, mentre “Gone” torna su binari più dreamy, chitarra acustica come protagonista contornata da suoni distorti, atmosferici, oscuri e luminosi allo stesso tempo.
Con soli cinque brani i Dear Baby Deer riescono ad introdurci nel loro mondo fatto di ombre e raggi di luce, suoni densi ed evanescenti, caldi e caotici, con giustapposizioni di elementi sonori ora più ruvidi, ora più rilassati. Il fortunato filone dello shoegaze continua, ma il difficile sta nel non risultare scontati, banali, creando l’effetto del sentito e risentito. Non c’è pericolo per "I Never Thought You Would Come Along", che ci catapulta in un viaggio introspettivo ricco di sfumature psichedeliche, a tratti rilassanti e improvvisamente caotiche, spigolose ma rotonde allo stesso tempo. Adesso non resta altro che dedicarsi ad un full lenght che approfondisca questo viaggio e ci dimostri le capacità già evidenti del gruppo.
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