Coerenti, rarefatti, curati, belli, eppure non davvero incisivi
Appoggiando la puntina sul vinile di “Una voce poco fa” l’effetto che si ottiene è un’immediata rarefazione di ciò che si ha attorno. Vignettatura, filtro seppia, blur. Il Genio riesce, anche con quest’ultima produzione, a proiettare nei fortunati Sixties, soprattutto francesi ma anche inglesi e italiani, anche la più contemporanea delle realtà.
In un momento come quello attuale dove queste ricercatezze sono apprezzatissime, Il Genio però non riesce a convincere del tutto. Il rischio di questo tipo di creazioni è quello dei vari American graffiti e negozietti vintage dove la percezione del fake è presto tangibile. Si viene catapultati in un mondo bellissimo, curatissimo, sì, ma poi cosa ci ritroviamo tra le mani? C’è dell’autentico in tutto questo? Quella cartella rigida è davvero retrò o l’hanno prodotta con della similpelle in Cambogia due mesi fa? Il pericolo è appunto quello di non convincere fino in fondo, perché a giocare troppo con il fuoco finisce che ci si brucia.
“Una voce poco fa” è un disco coerente, che scivola alla perfezione nella sua linea melodica di synth, bassi, chitarra e voce ovattata. Ma il limite, forse, sta proprio in questa sua eccessiva coerenza. Un guizzo di contemporaneità, di innovazione in un qualcosa che riprende un qualsiasi filone musicale passato, a dire il vero molto di moda in questi anni, deve esserci. È necessario per rispondere ad un unico quesito: «Perché dovrei ascoltare Il Genio e non- ad esempio – Serge Gainsbourg o Jane Birkin?». D’altra parte, come diceva il Perozzi in “Amici Miei”: "Il genio è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione".
In questa terza fatica di Alessandra Contini e Gianluca De Rubertis le idee, le intuizioni ci sono e alcuni pezzi sono, oltre che ben fatti, indovinati (“Ho deciso”, “Motivi plausibili”, “Bene mediamente tanto”, “Groenlandia”), c’è una spruzzata di attualità nel primo singolo “Bar cinesi”, ma sono lontani gli artisti italiani che più sono riusciti a sintetizzare al meglio passato e presente (Baustelle, il primo Morgan, certi giochi di parole che uniscono l’alto e il basso di Battiato). E la stessa voce – fanciullesca, civettuola, nipponica – di Alessandra Contini rischia di risultare stucchevole quasi come tutta quella chioma lilla e cotonata dell’Incantevole Creamy.
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La recensione UNA VOCE POCO FA di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-10-21 00:00:00
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