Vaghe Stelle
Sweet Sixteen 2014 - Psichedelia, Elettronica

Sweet Sixteen

Primascelta!

"Sweet Sixteen" è il cassetto dentro al quale Vaghe Stelle tiene chiuso tutto il suo personalissimo universo: tanti ricordi, altrettanti sogni, momenti di smarrimento, vuoti siderali, le distanze coi loro relativi tempi di percorrenza. Il nuovo lavoro del producer più totally-black della città più bass d'Italia è il tassello dreamy e meno claustrofobico della sua carriera. Quando accadono cose di questo tipo di solito è perchè qualcosa le scatena, e io non voglio indagare sul privato di Vaghe, semplicemente limitarmi a constatare quando adesso riflettino luce nuova e soprattutto respirino, siano ariosi, questi pezzi.

Il mood generale è quello di una sinfonia divisa in tre movimenti. Il primo è su "My Birthday", che inizia con dei synth che mimano un quartetto d'archi, dando vita a questa marcetta arrogante che ti si fissa subito in testa. Ci sono anche altri loop e rumorismi vari, rimangono sottotraccia, ma il pregio più grande che hanno è quello di regalarti un'altra porta d'accesso, con una grana e un peso notevoli. La title-track si muove a testa alta, c'è una batteria decisa, diversi strati di synth che si sovrappongono, ha il privilegio di introdurre alla seconda parte, quella più cattiva. Presi singolarmente "Artificial Intelligence", "Libitum" e "Duemila Kilometri" colpiscono, ascoltati in sequenza fanno ancora più male. Una gioca con questa cassa irregolare, alla Kode9, per poi aprirsi a metà su un tappetone morbido e, come se non bastasse, incattivirsi ancora di più in un finale acid-tech, l'altra mischia Plaid e Drexciya, beat ruvidi e contrappunti puntillistici. "Duemila Kilometri" è probabilmente la migliore, batterie pazze, synth che arrivano da ogni dove, e la melodia grossa di un organo digitale ad accompagnare la faccenda. "She Sometimes" procede più eterea, quasi ambient, su dei vocals smorzati, ha il merito di fare da raccordo con l'ultima parte, "Sorry I Don't Where I Am Now" è ancora aggressiva, ma apre a un'estasi quasi Boards of Canada in lontananza, che poi è il gradiente principale dell'ultima, il commiato, "Thanks For The Conversation".

Sono pezzi che più che raccontare una storia seguono un flusso, e restituiscono efficacemente un'idea di movimento, gli elementi più aspri e quelli più morbidi convivono perfettamente, senza ostacolarsi mai. Come racconta anche nella nostra intervista, alcune tracce sono nate direttamente in sogno, con una struttura già ben definita alla quale si è dovuta semplicemente trovare una precisa collocazione nel quadro. Credo che sul fondo di "Sweet Sixteen" ci sia un'idea precisa di quello che possa diventare il passato, soprattutto se analizzato a posteriori, tante schegge impazzite che prendono le più svariate direzioni sfiorandosi continuamente. Il merito di Vaghe Stelle sta tutto nel massimizzare queste sue visioni, elevando il personale a una faccenda universale, cosmica mi verrebbe da dire pensando ai modi che ha di ritagliarsi un suo spazio e un suo ambiente questo disco. Ci riescono veramente in pochi ad affermare in questo modo il proprio tocco e la propria sensibilità, e Vaghe Stelle fa parte di quel nugolo di pochi eletti che potrebbe essere d'ora in avanti preso a prestito in citazioni e descrizioni altrui. È l'altra sponda del suono black anestetizzato di uno come Actress, quella più sci-fi e sfacciatamente intima. Andiamone orgogliosi.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.